Resa nota l’ottava indagine Eurostudent (2015-2018), che analizza le condizioni di vita e di studio degli studenti ai corsi universitari di primo e di secondo ciclo (corsi di laurea, corsi di laurea specialistica/magistrale, corsi di laurea specialistica/magistrale a ciclo unico) delle università europee e italiane.
Così come segnala La Repubblica, gli universitari più casalinghi d’Europa sono quelli italiani: 7 su 10 vivono ancora con i genitori.
Così, mentre 2 ragazzi italiani su 3 continuano a godere dei vantaggi dello stare in famiglia durante gli anni dell’università, in Europa la quota scende ad 1 studente su 3. E in Germania addirittura a 1 su 5.
Addirittura in alcuni paesi, gli studenti sono già sposati e accudiscono i figli. Si tratta della situazione di quasi tutti i paesi nordici – come in Finlandia col 35 per cento e di Francia e Germania, col 21 per cento di studenti che vivono stabilmente col partner.
In Italia questo è possibile solo per il 3%. Da cosa dipende? Molto dall’abitudine di vivere in famiglia, ma soprattutto dalla carenza di lavoro.
Se in Germania il 54% dei giovani universitari lavora regolarmente durante il periodo delle lezioni e solo il 29 per cento non lavora, la percentuale europea si abbassa al 35%, con un altro 16% che si accontenta di lavori saltuari.
In Italia solo l’11% lavora durante gli studi, mentre il 76% si dedica esclusivamente alle lezioni e agli esami.
Si tratta, però, di un assunto che merita una precisazione: il sistema italico, ad oggi, non finanzia l’indipendenza dei giovani con stage che prevedono, il più delle volte, rimborsi minimi e mansioni degradanti rispetto alla formazione maturata in università.
I giovani italiani escono penalizzati da un sistema che non offre corsi di laurea gratuiti come in Germania o assegni mensili appositi per allontanarsi dal nido familiare (Olanda e Danimarca). Dunque con un sistema di welfare ben strutturato è difficile diventare dei “bamboccioni”. Giova ricordare che il sistema sociale non è un atto di carità, ma un incentivo al fine di ridurre le conflittualità, in nome dell’uguaglianza delle opportunità.
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