Notizia di questi giorni è stata l’abbandono, sin dall’inizio dell’anno scolastico, del famoso Liceo Berchet di Milano da parte di oltre cinquanta studenti che hanno preferito trasferirsi in altre scuole perché troppo stressati ed in preda all’ansia. I ragazzi, a loro dire, sentirebbero troppo la pressione degli insegnanti e non riuscirebbero ad essere sereni durante le prove scritte e orali. Loro pensano che il clima di stress sia correlato a delle difficoltà di dialogo con gli insegnanti.
Il problema non sembra del tutto chiaro. A prima vista si delinea un profilo del corpo docenti altamente austero ed esigente in grado di scoraggiare il proseguimento degli studi a dei semplici ragazzi di liceo. Una sorta di università minore. Ma mi chiedo se una tale realtà scolastica possa realmente esistere nel quadro di una Scuola pubblica che tutto sembra tranne che castigatrice e con l’unico obiettivo di sfornare super geni. Forse il problema è un altro e non sta nel corpo docenti del liceo classico Berchet o di un qualsiasi altro liceo italiano. Io credo che la Scuola non possa fare a meno di risentire di tutte le problematiche che affliggono la società moderna. Uno di questi problemi è rappresentato dalle prospettive di inserimento nel mondo del lavoro. Per un liceale il futuro lavorativo è diventata una realtà lontana e difficile da raggiungere.
Essi vedono lo studio fatto al liceo come un impegno inutile dal punto di vista delle opportunità che potrà offrire per l’inserimento lavorativo. Ci sono altri possibili modi di trovare lavoro senza bisogno di studiare come ad esempio fare l’influencer o gettarsi negli on Line business.
Il covid ha poi avuto il merito di far sedimentare ulteriormente le dinamiche culturali nei nostri ragazzi portandoli verso l’isolamento e la demotivazione, rendendoli poi sempre più bisognosi di assistenza, anche emotiva.
Numerose sono ormai le generazioni di studenti che sono cresciute potendo utilizzare gli accoglienti ambienti culturali-tecnologici scaturiti dal boom economico post-bellico. Studenti che via via sono diventati genitori ed insegnanti a loro volta. Una realtà che ci ha reso liberi di gestire la nostra vita ed il nostro tempo libero. Che ci ha resi anche esigenti ed incontentabili.
Ciò ha permesso di creare una realtà parallela, distaccata da quelle che sono le difficoltà classiche della vita reale, dove buona parte di noi, e soprattutto i nostri figli, abbiamo trasferito attività e relazioni socioculturali. Le vecchie difficoltà di vita sono ormai un lontano ricordo per i più grandi e neanche considerate dai più piccoli.
Il facile successo scolastico diventa una necessità di vita. Anche un voto che non sia eccellente viene visto come una inaccettabile sconfitta. Prendere il massimo è diventato quasi il minimo che si possa fare per non soffrire! Per non sentirsi inferiori nei confronti dei propri compagni.
Poco importa, magari, l’avere reali ed apprezzabili competenze da poter spendere un giorno, finiti gli studi. Ciò che importa è vincere la competizione meritocratica ma senza darci dentro veramente. Ma se lo sforzo richiesto diventa impegnativo cosa si fa? Si cambia scuola! Non ne vale la pena perdere tempo ed accumulare angustie. Si trova sempre una Istituzione scolastica pronta ad accogliere tutti coloro che avessero di bisogno.
Ma quindi bisogna che i licei come il Berchet diventino meno esigenti in termini formativi? Bisogna non puntare ad una formazione di alto livello e competitiva così come richiede il moderno mondo del lavoro? Come vanno impostati gli obiettivi formativi?
Il disorientamento manifestato dai nostri ragazzi nasce realmente da eccessive attese che gli insegnanti hanno nei confronti di questi ragazzi? Potrebbe avere un ruolo importante anche la mancanza di bisogni formativi da parte di un’utenza sempre più sazia di cultura social e ubriaca di benessere e di stili di vita basati su sicure condizioni economiche date per scontato?
In un tale contesto l’impegno nello studio, se non motivato e focalizzato sulla conquista di benefici economici almeno pari allo status attuale, diventa assolutamente inconcepibile per i nostri ragazzi. Essere studenti liceali oggi non è lo stesso di quaranta, trenta od anche venti anni fa. La profonda crisi ambientale, la crescita demografica mondiale, l’esaurimento delle risorse, le guerre che si sono affacciate anche in Europa lasciano poche certezze sul futuro ai nostri giovani. Il futuro è ben lungi dall’essere chiaro e i nostri ragazzi vivono alla giornata facendo scorrere la vita senza fare troppi progetti.
Pare abbiano anche loro “incontrato il male di vivere” così vividamente descritto da Eugenio Montale nella sua celebre poesia e sembra pure che abbiano trovato nella “divina indifferenza” la soluzione al problema medesimo. Ma la scuola non può assecondare questa loro filosofia di vita. Non possiamo non pensare al futuro, bello o meno bello che sia.
I nostri giovani vanno svegliati da questo torpore e con loro le loro famiglie. Il “male di vivere” lo possiamo avere tutti ma non possiamo essere “indifferenti” ed inerti. Dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi a reagire alle difficoltà ed agli insuccessi dello studio e della vita.
Giuseppe D’Angelo
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