Alunni

Gli studenti li valutano i docenti, non i test Invalsi

Il rimando di 12 mesi delle prove Invalsi dal curriculum degli studenti, attraverso un emendamento a prima firma di Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana-Leu, è un atto legislativo importante: non tanto per la sua incidenza pratica sull’Esame di Stato, che sostanzialmente non muta la sua struttura portante, quanto soprattutto perché sembra ridimensionare le ambizioni di chi pensava di legare i risultati dei test con le competenze degli studenti e dei loro docenti.

Fratoianni (Si-Leu): gli studenti non sono numeri

“Abbiamo ristabilito due principi fondamentali – ha tenuto a dire Nicola Fratoianni – che erano stati messi in discussione dal DL 62/2017: la valutazione delle conoscenze sono prerogativa del corpo docente e in particolare del consiglio di classe, in quanto frutto di un lavoro che tiene conto del profilo e della storia personale di ogni singolo studente; gli studenti non sono numeri”.

“C’è ancora molto lavoro da fare, ma intanto, oggi – ha concluso il parlamentare della commissione Cultura di Montecitorio – abbiamo compiuto un primo passo, a tutela degli studenti e del ruolo del corpo docente”.

Gli esiti dell’Invalsi, quindi, non faranno parte delle informazioni sulle competenze formali e non formali acquisite dagli studenti, le quali verranno adottate dall’anno prossimo, trovando spazio come allegato al diploma, alla fine dell’esame di maturità.

Ascani (Pd): sono solo un “termometro del sistema”

“Il motivo è chiaro – ha detto la viceministra dell’Istruzione dem Anna Ascani -: i test Invalsi non servono a valutare docenti e studenti. Sono uno strumento conoscitivo che fornisce una fotografia dello stato di salute del nostro sistema di istruzione ed è per questo motivo che sono fondamentali per il miglioramento e restano requisito di ammissione all’Esame di Stato”.

“Proprio per questo – ha continuato – abbiamo deciso di utilizzare le rilevazioni dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione come base per intervenire sui divari territoriali presenti nel nostro Paese”.

I test, ha sottolineato Ascani, rappresentano invece “un importante termometro del sistema e aiutano a orientare le azioni in maniera strategica”.

“La decisione di tenerli fuori dal curriculum dello studente, la cui introduzione è stata rimandata per effetto di un emendamento al Milleproroghe, testimonia quindi la natura di queste prove che non sono né inquisitorie, né punitive”, ha concluso la vice ministra.

I test rimangono comunque obbligatori

Per oltre due milioni e mezzo di studenti, rimane l’obbligo di sottoporsi ai test: dal 2 al 31 marzo, toccherà agli studenti del quinto anno delle superiori: dal 1° al 30 aprile, agli alunni di terza media; a maggio sarà la volta delle due classi della primaria (seconda e quinta) e alla seconda superiore.

“Purtroppo resta l’obbligatorietà a svolgere la prova, ma essa non avrà alcun impatto sulla valutazione degli studenti né per il presente, né tanto meno per il futuro”, ha detto ancora Fratoianni.

Rimangono dei dubbi…

Nell’attuale maggioranza sembrano così tutti d’accordo: i test servono solo a fotografare e migliorare strategicamente il sistema scolastico generale, andando a potenziare ad esempio le aree dove si registrano maggiori abbandoni dei banchi o valutazioni negative.

La domanda è d’obbligo: la maggioranza parlamentare crede compattamente che non abbiano alcun scopo di valutazione? Se sì, allora perché non si produce una norma che scolleghi una volta per tutte i risultati delle prove Invalsi (la certificazione dei test sulle competenze acquisite) dall’Esame di Stato? Perchè non si affrancano in modo inequivocabile gli esiti dei test dalla valutazione dei docenti, come rimarca da anni la presidente Invalsi Anna Maria Ajello?

Alessandro Giuliani

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