I giovani di oggi non sanno scrivere: o meglio, lo sanno fare ma in modo superficiale. Questo è quanto emerge dal progetto UniverS-Ita, un lungo lavoro di ricerca coordinato da Nicola Grandi, direttore del dipartimento di filologia classica e italianistica dell’Alma Mater, come riporta La Repubblica.
Lo studio si è posto l’obiettivo di capire quale fosse lo stato della conoscenza dell’italiano tra chi frequenta l’università. I risultati non sono per nulla soddisfacenti. All’origine la lettera che il 4 febbraio del 2017 seicento professori inviarono al presidente del consiglio, al ministro dell’istruzione e al parlamento dal titolo “Contro il declino dell’italiano scuola” dove i firmatari denunciavano “le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico) con errori appena tollerabili in terza elementare”.
“Mi sorprese – spiega Grandi – che non fosse firmata da alcun linguista, mi chiesi inoltre quali fossero i dati su cui era basata così ho dato il via alla ricerca”. Quest’ultimo ha coinvolto un campione di 2137 studenti di 45 atenei divisi per altrettante aree (umanistica, sociale, scientifica e sanitaria) per la redazione di un testo (dal limite massimo di 500 parole). Un semplice tema, legato al periodo della pandemia (la ricerca è stata condotta negli anni del Covid). Gli elaborati sono stati analizzati da un algoritmo che ha confrontato il numero di frasi e parole impiegate, l’ortografia e la punteggiatura, per poi passare il vaglio della correzione umana.
“Quello che è emerso e più preoccupa – osserva Grandi – non ha a che fare tanto con ortografia e lessico, le capacità espressive sono in realtà piuttosto omogenee, ma con la difficoltà di costruire contenuti complessi. Un campanello di allarme è il fatto che il 50% degli errori sia relativo alla punteggiatura. Altra evidenza è la poca predisposizione all’uso di frasi subordinate, ulteriore conferma che ciò che manca sia la capacità di maneggiare la lingua in modo articolato. Un’analisi che per quanto mi compete si ferma qui, ma i tanti studi sulle correlazioni tra linguaggio e pensiero aprono altri scenari”.
Per Grandi le nuove tecnologie hanno contribuito a questo declino. “Fino a pochi anni fa la scrittura era praticata quasi esclusivamente a scuola. Si scrivevano elaborati destinati ad essere corretti e progettati per questo. Le relazioni invece erano dominio incontrastato dell’oralità. Oggi assistiamo a una situazione nuova: la stragrande maggioranza dei giovani scrive quotidianamente in modo sistematico e gli scambi tra pari si esprimono prioritariamente attraverso chat e social, una sorta di parlato digitato. Si scrive decisamente di più, ma in modo frammentato e se ne vede il risultato”.
Nel corso del convegno verranno presi in considerazione eventuali rimedi, a partire da scuola e università. “Dove al contrario, rispetto a un tempo, si scrive pochissimo”. Lo studio mostra come gli studenti dell’area umanistica se la cavino meglio. Ancora più bravo, chi conosce lingue antiche e legge molto: sono 190 le parole impiegate da chi si cimenta nella lettura di almeno dieci libri l’anno contro le 170 di chi lo fa poco. La ricerca attesta pure la scarsa mobilità sociale italiana: una maggior padronanza dell’italiano è influenzata dalle condizioni di partenza, favorendo chi vive in situazioni di maggior agiatezza. Poi ci sono le studentesse, che ancora una volta, commettono meno errori dei colleghi maschi.
Solo la metà degli alunni italiani sa leggere con efficacia, l’altra metà, concentrata al Meridione, ha difficoltà. Il dato è contenuto tra quelli presentati a maggio dai ricercatori dell’Invalsi, presso l’Auditorio dell’Accademia Nazionale dei Lincei a Roma, assieme ai risultati dell’indagine internazionale IEA PIRLS 2021, in contemporanea alla presentazione mondiale dell’estesa rilevazione statistica sulle abilità di lettura dei giovani. Si tratta di uno studio sulla literacy in lettura degli alunni frequentanti il quarto anno di scuola primaria, quindi di nove anni di età.
Le rivelazioni si sono svolte nel 2021 in più di 50 Paesi nel mondo in un periodo di piena fase della pandemia: i Paesi partecipanti sono stati 57, di cui 27 con modalità di raccolta dati digitale (inclusa l’Italia).
In Italia hanno preso parte alla rilevazione nazionale 222 scuole e 442 insegnanti, con il coinvolgimento di oltre 7.000 allievi e 5.000 genitori.
In Italia gli studenti di quarta primaria ottengono un punteggio medio pari a 537 punti, un risultato superiore a quello medio internazionale di tutti i Paesi partecipanti e superiore al punteggio medio dei Paesi europei partecipanti.
Tra i Paesi europei, solo gli studenti di Finlandia (549), Polonia (549) e Svezia (544) ottengono un risultato medio superiore a quello dei nostri studenti.
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