Attualità

Global Warming a scuola, informare i giovani per salvare il futuro

Dodici morti per la pioggia ed il vento fortissimo in due soli giorni. Centinaia di alberi schiantati; tetti scoperchiati, antenne distrutte, palazzi danneggiati e automobili sfondate dal crollo di alberi mediterranei alti e robusti, che mai avevano conosciuto eventi simili. Fiumi e torrenti esondati. Porti semidistrutti da onde alte dieci metri. Non è il Bangladesh. È l’Italia del 29 e 30 ottobre 2018.

La Scuola deve informare i giovani, far sì che si sveglino, che prendano coscienza di quanto sta accadendo all’ambiente, all’atmosfera, al pianeta. Perché siano capaci di reagire, più di quanto non abbia saputo fare la nostra (colpevole) generazione. I docenti devono farsi carico di informarli, al di là dei curricoli, al di fuori dei “progetti”, a prescindere dalla burocrazia. Ne va del futuro dei nostri studenti, dei loro figli, dei nostri e loro discendenti; perché — tra l’altro — il nostro Paese sarà uno dei più colpiti da quanto sta accadendo.

Non è argomento che riguardi soltanto gli insegnanti di materie scientifiche, perché si tratta di un appuntamento dell’umanità col destino. Dunque riguarda tutti, ed ogni branca del sapere: persino le discipline letterarie, linguistiche, storiche e filosofiche. E infatti anche La Tecnica della Scuola se n’è più volte occupata.

È già qui

Previsto. Misconosciuto. Volutamente ignorato. Nascosto. Eppure, malgrado gli sforzi dei negazionisti, il cambiamento climatico è qui, sempre più tangibile, imprescindibile, temibile, terribile. Non lo diciamo noi: lo provano le registrazioni delle anomalie medie della temperatura atmosferica terra e sulla superficie dei mari; rilevazioni inconfutabili, effettuate dai satelliti artificiali nell’ultimo trentennio.

Pochi lo sanno, ma tutto ciò era stato previsto nel dettaglio dagli scienziati fin dagli anni ‘50 del secolo scorso. Anzi, c’è ben di più: la relazione tra composizione chimica dell’atmosfera e temperatura del pianeta è nota fin dal lontano 1824! Fu proprio in quell’anno che il fisico e matematico francese Jean Baptiste Joseph Fourier (1768-1830) creò l’espressione “effetto serra”, oggi tristemente nota.
Libero pensatore, Fourier partecipò alla grande Rivoluzione, rischiando la ghigliottina ai tempi di Robespierre. In seguito ai suoi studi sulla propagazione del calore, capì che la stabilità della temperatura terrestre è dovuta all’atmosfera, la quale imprigiona i raggi solari al proprio interno impedendone la dispersione nello spazio.

E già nel 1859 il fisico irlandese John Tyndall (1820-1893) scoprì che la radiazione infrarossa viene imprigionata da alcuni gas (quelli che noi oggi chiamiamo “gas-serra”) e indicò la possibilità che una variazione della concentrazione di anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera potesse cambiare il clima.

 

La matematica non è un’opinione…

Nel 1896 il chimico svedese Svante August Arrhenius (1859-1927), premio Nobel per la chimica 1903, calcolò per la prima volta con precisione il rapporto matematico tra CO2 e riscaldamento globale, e scoprì che il vapore acqueo è un altro potentissimo gas serra (oggi sappiamo che è responsabile di almeno i due terzi dell’effetto serra naturale). Studi confermati ed ampliati nel 1938 dall’ingegnere inglese Guy Stewart Callendar (1897-1964).

1956: è la volta di Gilbert Norman Plass (1920-2004), fisico canadese, il quale studia la composizione strati dell’atmosfera terrestre e ne calcola il riscaldamento in corso a causa dell’aumento di CO2. L’anno seguente il fisico nucleare austriaco Hans Eduard Suess (1909-1993) identifica le tracce isotopiche dei combustibili fossili nell’atmosfera, dimostrandone la persistenza nell’ambiente. Nel 1960 Charles David Keeling (1928-2005), scienziato statunitense, con accurate misurazioni, documenta la crescita annuale della CO2 nell’atmosfera. Tre anni dopo, studiando il comportamento del vapore acqueo, viene inconfutabilmente provato che il raddoppio di CO2 potrà avere un impatto ben maggiore di quanto si sia mai creduto prima.

 

…e neanche l’informatica

1967: i climatologi Syukuro Manabe e Richard T. Wetherald elaborano il primo modello informatico per riprodurre e comprendere il funzionamento del clima terrestre, confermando gli studi precedenti in materia.

I mutamenti recenti del clima sono stati poi studiati ancora più minuziosamente nell’ultimo mezzo secolo, dopo l’incremento esponenziale delle attività umane, e non appena è diventata possibile l’esplorazione dell’alta troposfera (lo strato inferiore dell’atmosfera). È ormai verità indiscussa nella letteratura scientifica che tutti i fondamentali motivi cui è imputabile il cambiamento climatico sono collegati al sistema produttivo globale.

Tra i principali gas serra, la CO2 incide in una percentuale variabile tra il 9 ed il 26% nella generazione dell’effetto serra; il metano (CH4) incide per il 4-9%. L’aspetto più inquietante, però, è che tra il 36 ed il 70% dell’effetto serra è generato dal vapore acqueo. Di conseguenza, aumentando la quantità di CO2 nell’atmosfera, abbiamo alterato l’equilibrio termico del pianeta: infatti un’atmosfera più calda genera l’aumento di evaporazione idrica dagli oceani, e questa, a sua volta, accelera il processo di riscaldamento globale, con un circolo vizioso che definire infernale è eufemistico.

 

Se non a scuola, dove? Se non ora, quando?

La Scuola ha il dovere di occuparsi di questo tema, affinché le giovani generazioni esigano dai futuri governanti un impegno concreto per il cambiamento del modello di sviluppo, per l’uso massivo delle energie rinnovabili, per l’eliminazione degli sprechi, per una politica ed un’economia guida etica.

Alvaro Belardinelli

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