Le aule si sono dilatate e le presenze sono virtuali.
Come conservare il senso di appartenenza, la partecipazione, l’empatia, il coinvolgimento, l’amicizia, le interazioni che caratterizzano la vita scolastica?
Un episodio della mia vita professionale può essere d’esempio.
Era il 1981 e lavoravo nel corso sperimentale per ragionieri programmatori.
Il Consiglio di classe si riuniva settimanalmente per la prevista attività di programmazione;
le avvertenze al programma erano il suo filo conduttore: “Il traguardo formativo non deve consistere solo nel far acquisire conoscenze ma anche competenze e abilità, così da sviluppare abitudini mentali orientate alla risoluzione di problemi ed alla gestione delle informazioni”.
Erano state predisposte delle schede per guidare l’osservazione dello sviluppo delle competenze. Dalla loro applicazione era risultato che gli studenti della classe quarta mostravano la tendenza a sintetizzare, a detrimento delle capacità descrittive.
Si ritenne che tale comportamento fosse originato dalle modellazioni che caratterizzano la cultura informatica.
La via per il superamento di tale tendenza fu individuata nella lettura di libri.
A ogni docente del consiglio furono affidati alcuni studenti ognuno dei quali, mensilmente, letto il libro assegnato, discuteva con lui della lettura fatta.
Come lavoro estivo, a tutta la classe, fu chiesto di leggere “Il nome della rosa”, con lo stimolo:
Nel romanzo sono contrapposte le figure di Guglielmo e di Jorge.
Il primo simboleggia la razionalità, il pensiero, la ricerca; il secondo rappresenta la moralità (il bene e il male), la volontà.
Il racconto premia Guglielmo.
Proposta di lavoro
Riscrivete il finale della storia: deve prevalere la posizione di Jorge.
Si richiede uno scritto di 2.000/4.000 parole.
Al rientro delle vacanze fu scelto il lavoro migliore.
Inizialmente furono concordati gli aspetti che si ritenevano significativi e, a ognuno di essi, fu dato un peso.
Gli scritti furono suddivisi tra i gruppi per la valutazione, da giustificare compilando una scheda.
L’esito fu comunicato all’autore e con lui discusso e, eventualmente modificato.
L’attività terminò con l’intera classe: ogni gruppo presentò la scheda del lavoro preferito e, per votazione, s’individuarono i tre lavori più significativi.
Seguì la loro lettura e la scelta della narrazione vincitrice.
Il Consiglio di Classe decise di inviare a Umberto Eco, autore del romanzo, alcuni scritti per avere un suo giudizio.
La risposta fu sorprendente: eravamo invitati nell’abazia di Sant’Egidio a Fontanella, nel bergamasco, dove intendeva andare per trovare padre David Maria Turoldo.
Naturalmente fu colta l’occasione: si parlò dell’organizzazione dei lavori di classe e, in conclusione, Umberto Eco contestò la richiesta iniziale: lui non parteggiava per nessuno.
Espresse poi il suo giudizio sugli scritti, valorizzando quelli che per noi erano poco incisivi.
La domanda iniziale, cui l’esperienza narrata potrebbe rappresentare un tassello della risposta, era: come conservare il senso di appartenenza, la partecipazione, l’empatia, il coinvolgimento, l’amicizia, le interazioni che caratterizzano la vita scolastica?
Ritengo che l’incisività della didattica a distanza sarebbe potenziata se fosse valorizzata la funzione di coordinamento e di progettazione educativa del Consiglio di Classe. Sarebbero individuate le competenze cui far convergere gli insegnamenti e sarebbero ipotizzati percorsi, non strettamente legati alle materie d’insegnamento, per promuovere e sollecitare le capacità degli studenti.
Enrico Maranzana
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