Ma il nuovo Governo dove troverà i soldi per attuare i programmi e le riforme presenti prima in campagna elettorale ed ora nel programma M5S-Lega? È la domanda che si stanno ponendo gli economisti. Facciamo quattro conti pure noi.
Oltre alla revisione della riforma Fornero, con il ritorno ai parametri introdotti dal Governo Amato, che costerebbe per il primo anno almeno 15 di miliardi l’anno e poi 20 miliardi, che Luigi Di Maio e Matteo Salvini continuano ad indicare tra le priorità, c’è una sfilza di altre maxi-spese che il nuovo esecutivo vorrebbe affrontare.
Uno dei leitmotiv del Movimento Cinque stelle, il reddito di cittadinanza, costerebbe, per ammissione dello stesso movimento grillino, circa 15 miliardi. Anche se Inps e Confindustria ritengono che la misura preveda almeno 30 miliardi.
C’è poi da evitare l’aumento delle aliquote Iva: per evitare l’incremento fissato per il prossimo anno (dal 22% al 24,2% per l’aliquota ordinaria e dal 10% all’11,5% per quella ordinaria) servirebbero oltre 12 miliardi. Mentre le necessità che M5S e Lega si sono imposte andrebbero a sottrarne molti di più.
Secondo l’Ansa, solo queste tre misure farebbero salire il conto oltre i 40 miliardi solo per il 2019, senza considerare la correzione che potrebbe essere chiesta dall’Ue, senza coperture chiare e senza che si considerino la Flat tax (quella che nemmeno gli Stati Uniti sono riusciti ad introdurre), che la Lega vorrebbe collocare al 15%, e sulla quale punta anche Forza Italia.
Tra gli altri progetti, la maggior parte onerosi, c’è poi la volontà di favorire il recupero dei debiti fiscali per i contribuenti in difficoltà; lo studio sui minibot, la riduzione costi della politica, la lotta alla corruzione, il contrasto all’immigrazione clandestina, la legittima difesa.
Sullo sfondo, poi, c’è anche la riforma della scuola. Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha annunciato che si punta a lavorare su “tasse, lavoro, scuola, giustizia” e anche “legge Fornero, sbarchi, legittima difesa”.
Quindi, novità in arrivo si preannunciano anche per l’Istruzione: in particolare, per la Legge 107/2015 si preannunciano cambiamenti, probabilmente sul fronte dei bonus, sulla e sull’alternanza scuola-lavoro. E forse anche sull’eccesso di poteri ai presidi. Quasi sicuramente per dire addio alla chiamata diretta dei docenti, un provvedimento introdotto dal Governo Renzi ma che alla resa dei conti ha creato più problemi che soluzioni agli stessi. Per il momento, come già detto in un altro nostro articolo, di Scuola si parla poco: sull’istruzione pubblica troppo grande è, evidentemente, il gap di vedute tra M5S e Lega.
Le spese da affrontare, tuttavia, non finiscono qui: sempre in tema scuola e PA, un altro miliardo (per il primo anno) va trovato per finanziare il rinnovo dei contratti pubblici (tra cui quello della Conoscenza, dove sono collocati tra cui docenti, Ata e dirigenti scolastici), previsto per il prossimo anno solare (oltre sei miliardi nel triennio 2019-21): il contratto attuale, appena sottoscritto, scadrà già tra pochi mesi.
Assieme ad altri costi che il Governo vorrebbe attuare, si rischia grosso di far “saltare il banco”. Anche perché il prossimo 23 maggio la Commissione europea giudicherà lo stato dei conti italiani, chiedendo probabilmente una correzione dello 0,3%. A quel punto, sarà davvero difficile mettere in campo le misure che hanno fatto vincere le elezioni politiche 2018. E siccome sono passate solo poche settimane dall’impegno preso, i cittadini le ricordano ancora molto bene.
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