Si va verso un nuovo Governo con Giuseppe Conte ancora a capo dell’esecutivo: il presidente del Consiglio uscente il 27 agosto ha cominciato ad interagire direttamente con Nicola Zingaretti. La strada, però, è ancora lunga e le “trattative” tra M5S e PD sono serrate. Con momenti produttivi ed altri di attrito.
Obiettivamente, non è facile trovare la quadra, prima di tornare, tra poche ore, al Quirinale dal Capo dello Stato: anche perché nelle ultime ore sono salite le quotazioni di fichiani e renziani.
In particolare, sembra che l’ex segretario e premier Matteo Renzi abbia chiesto tre o quattro ministeri. Altrimenti si tirerebbe fuori, con un ruolo tutto da decifrare.
C’è poi il nodo su Luigi Di Maio, che i pentastellati vorrebbero confermare. Solo che il Partito Democratico ha detto subito che serve un segnale di discontinuità e quindi l’attuale vicepremier grillino non potrà assolutamente ricoprire la carica di vice presidente del Consiglio.
E’ anche vero che Beppe Grilo e Davide Casaleggio tengano tantissimo allo schema dell’ultimo anno e mezzo, con Di Maio in prima linea e loro a dirigere dietro le quinte. In tal caso, se alla fine dovesse essere confermata questa linea, già si parla dei vicepremier dem: in particolare, di Andrea Orlando oppure di Dario Franceschini, ex ministro dei Beni Culturali (nell’ultimo doppio Pd al Governo) e con una parentesi anche a guida dei dem.
Il nome di Franceschini è accostato anche all’Istruzione: fervido anti-renziano, con le “scaramucce” continuate anche un mese fa, quando ha definito Matteo Renzi “populista e giustizialista come la Lega”.
“La strategia dei pop corn – aveva detto Franceschini – ha portato la Lega dopo un anno al 35 per cento. Abbiamo buttato un terzo dell’elettorato italiano, quello dei Cinque Stelle, in mano a Salvini”. E la mala gestione della scuola, con l’approvazione della Legge 107/15, ha contributo non poco a questa disaffezione.
Ora, se il Pd dovesse tenere al dicastero di Viale Trastevere, per il M5S quello di Franceschini sarebbe, almeno in teoria, il male minore. Perchè si continuerebbe con l’opera di demolizione della Legge 107/15, pur con qualche riserva, avviata negli ultimi 15 mesi.
Se, invece, i grillini dovessero tentare di prendersi il Miur, allora sono diversi i “papabili”: si è parlato della senatrice Bianca Laura Granato, anche lei con il fucile puntato sulla Buona Scuola, che prima della crisi di Governo, subito dopo l’intervista concessa alla Tecnica della Scuola, nella quale aveva detto che “ormai il cambio di guardia al ministero dell’Istruzione è del tutto inevitabile”, ha pesantemente apostrofato la politica della Lega: “Hanno fatto un decreto scuola dove hanno inserito marchette per tutti. Lo hanno portato in CDM il 6 agosto e l’8 agosto Salvini ha dichiarato la fine del governo! Avete visto un decreto approvato in parlamento in 2 giorni?”.
Sempre se il ministero dell’Istruzione dovesse andare al M5S, c’è però anche un altro nome da non trascurare: si tratterebbe di Salvatore Giuliano, attuale sottosegretario all’Istruzione, ma mai operativo al 100% per via delle deleghe centellinate affidatigli dal ministro Marco Bussetti.
Qualche settimana fa, Giuliano si era detto più soddisfatto per l’esclusione della scuola sull’intesa di massima raggiunta dei vertici del Governo proposito del ddl leghista sulla regionalizzazione: “non abbiamo ceduto cose che avrebbero potuto compromettere l’unità del Paese”, ha detto trionfante.
E la sua nomina sarebbe forse meglio accettata dei democratici, poiché, probabilmente, l’ex dirigente scolastico dell’Istituto Majorana di Brindisi attuerebbe una politica verso il rilancio della scuola più alla Giuseppe Fioroni: con interventi da realizzare non con l’accetta, ma col cacciavite.
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