La valutazione nelle graduatorie del personale docente e Ata del periodo di servizio militare prestato non in costanza di nomina ha determinato un consistente contenzioso nel corso degli anni, e le pronunce della giurisprudenza, a quanto pare, non hanno del tutto risolto il problema.
Se infatti la Corte di Cassazione aveva in qualche modo messo un punto sulla questione, ritenendo illegittime le disposizioni ministeriali succedutesi nel corso degli anni in materia di valutazione titoli nelle graduatorie per le supplenze, laddove non consentivano la valutabilità del servizio militare prestato non in costanza di nomina, la giurisprudenza amministrativa si è dimostrata meno netta.
Sono infatti due le recentissime pronunce del Consiglio di Stato sul tema, di contenuto tuttavia diametralmente opposto.
Con una sentenza depositata proprio a fine dello scorso anno, il 29 dicembre, richiamando un precedente specifico del 2020, la settima sezione del Consiglio di Stato ha rilevato che non è possibile equiparare la condizione di colui che – in pendenza di rapporto di lavoro in atto col Ministero dell’Istruzione- sia stato costretto ad abbandonare tale occupazione per espletare il servizio militare, con quella di coloro che all’epoca non avevano alcun rapporto di lavoro in atto.
In sostanza, secondo questo orientamento del Consiglio di Stato, solo per il servizio prestato in costanza di nomina sarebbe preminente l’esigenza di apprestare una misura di compensazione, essendo il servizio militare causa di sospensione del rapporto di lavoro indipendente dalla volontà del cittadino lavoratore.
Un effettivo pregiudizio alla «posizione di lavoro» deriverebbe solamente qualora il dipendente (docente o personale Ata), già nominato, sia pure con contratto a tempo determinato, fosse chiamato a svolgere il servizio militare o il servizio civile sostitutivo, poiché, diversamente, si consumerebbe una disparità di trattamento a danno di tutti coloro che hanno prestato servizio nell’interesse della Nazione.
Per questi motivi, non sarebbe illegittima la minore valenza della considerazione del servizio militare (ovvero sostitutivo) prestato, una volta conseguito il titolo di studio richiesto ma in mancanza di un rapporto di lavoro in atto, ai fini della immissione nelle graduatorie.
A distanza di soli pochi giorni dalla citata pronuncia, la settima sezione del Consiglio di Stato si è nuovamente espressa sulla medesima questione, addivenendo tuttavia alla conclusione opposta.
Il Consiglio di Stato si era in effetti pronunciato precedentemente, in senso favorevole, già con sentenze di marzo e maggio 2022, e la sentenza depositata lo scorso 9 gennaio si colloca sulla scia di questo orientamento favorevole al riconoscimento del servizio.
Secondo il Consiglio di Stato, il servizio di leva obbligatorio e il servizio civile ad esso equiparato dovrebbero quindi essere sempre utilmente valutabili, ai fini della carriera come anche dell’accesso ai ruoli, in ogni settore, sia se prestati in costanza di rapporto di lavoro, sia se espletati a seguito del semplice conseguimento del titolo per l’iscrizione in graduatoria, in misura non inferiore, rispetto ai pubblici concorsi o selezioni, di quanto previsto per i servizi prestati negli impieghi civili presso enti pubblici.
Tuttavia, sebbene di segno positivo, detta ultima pronuncia non pare sciogliere del tutto i nodi, in quanto il vero problema consisterebbe nella valutazione del periodo di servizio militare o del servizio civile equiparato quale servizio “specifico”, e quindi 6 punti l’anno, e non quale generico servizio prestato presso la pubblica amministrazione, e quindi valutato 0,6 punti l’anno.
È dunque probabile, se non auspicabile, vista l’oscillazione giurisprudenziale, che la questione possa essere definitivamente risolta dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.
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