L’esercito dei docenti precari è sempre lì. Paziente, quasi sempre in silenzio, pronto ad accettare supplenze, brevi o lunghe, anche lontano da casa, pur di vedersi assegnata una cattedra. E in futuro l’agognato ruolo.
Il numero, anche se il Miur sostiene il contrario, è ormai lo stesso da diversi anni: ancorato tra i 240.000 e le 300.000 unità. Nel 2006 erano 241.000, l’anno dopo (quando le liste sono state trasformate da ‘permanenti’ ad ‘esaurimento’) sforarono, seppure di poco, quota 300.000. Ora sono, ce lo dice lo stesso ministero dell’Istruzione attraverso l'”Osservatorio sulle graduatorie ad esaurimento” con dati aggiornati alla fine del 2009, circa 247.000.
Il decremento è però solo apparente: viale Trastevere, infatti, dà per scontata l’applicazione della Legge 167/2009, in base alla quale per il personale già assunto nei ruoli come docente non sarebbe più consentito più permanere (ad eccezione degli insegnanti di religione cattolica) nelle graduatorie dei supplenti. Un’operazione peraltro discutibile, se non altro alla luce della recente sentenza del Tar del Lazio che ha reso di fatto sospeso, fino al 30 settembre, il decreto direttoriale dell’11 marzo scorso che dava attuazione alla suddetta legge.
Prof di ruolo a parte, il numeri degli aspiranti docenti, in attesa di assunzione definitiva, rimane comunque altissimo. Soprattutto per quelle che sono le prospettive: a prescindere dal numero di pensionamenti, dal Mef negli ultimi anni sono partiti dei lasciapassare per un numero di assunzioni sempre più basso. Dal piano triennale dell’ultimo Governo Prodi, che aveva programmato tre tornare da 50.000 immissioni in ruolo l’anno (realizzatosi solo per la prima tranche), si è passati a “concessioni” che non superano le 20.000 unità. Che in termini pratici significa attendere almeno 10-15 anni prima di vedere in ruolo tutti gli attuali docenti precari abilitati.
La prospettiva però non è assoluta: in alcune province ed in determinate classi di concorso le graduatorie sono esaurite o poco ci manca. “In particolare – spiega nella prefazione al rapporto Maria Domenica Testa, direttore generale Miur – le stime prospettano, già nel breve periodo, difficoltà per la scuola italiana a trovare docenti per alcuni insegnamenti tecnico-scientifici”. La scarsità di insegnanti interessa anche altri settori disciplinari, in particolare nelle zone del centro-nord. E non di poco conto è anche la proiezione in base alla quale “nell’arco di un triennio ben 27 province su 100 avranno esaurito le graduatorie della scuola primaria”.
Gli altri dati emersi dall’Osservatorio sono solo conferme “di alcune caratteristiche strutturali – continua Testa – che da tempo contraddistinguono le graduatorie: l’elevata età media degli iscritti (38 anni); l’alto grado di femminilizzazione della categoria (83% del totale); un interesse all’insegnamento proveniente principalmente dalle aree meridionali del Paese (il 65% degli aspiranti risulta nato nelle regioni del Sud)”. A proposito di quest’ultimo punto, il Miur ha rilevato che un aspirante docente su tre (36,4%) iscritto nelle graduatorie della scuola primaria del Nord è in realtà residente al Sud. Una tendenza confermata, seppure in modo ridotto, nelle regioni del centro dove i `maestri’ residenti al Sud presenti nelle liste di attesa riguardanti le scuole elementari sono il 28,6%. Situazione analoga per i supplenti nelle scuola dell’infanzia: nel settentrione i docenti residenti al Sud sono il 28,2%, mentre nelle regioni centrali raggiungono il 30,1%. Meno evidente, invece, la presenza di aspiranti docenti nella scuola secondaria (medie e superiori) residenti nel meridione Significativa ma più ridotta, invece, è la presenza di professori meridionali iscritti nelle graduatorie della secondaria di I e di II grado al Nord e al Centro, che varia tra il 14% e il 17%. Confermata anche la cronica scarsità di posti nel meridione e nelle isole: “la quota di abilitati di `antica presenza’ raggiunge ancora oggi punte del 60%, confermando le più basse possibilità di assorbimento che la scuola può assicurare rispetto alle dimensioni del problema del precariato in queste aree”. Emigrare fuori provincia rimane, insomma, una scelta obbligata. Almeno per chi vuole fare l’insegnante.