Lo storico e dirigente del PCI, Antonio Gramsci, scrivendo una lettera alla nipotina Mea, la esortava ad impegnarsi nello studio affermando: “Carissima nipotina, ti esorto a studiare non per la scuola ma per la vita”. Aveva ragione Gramsci che si studia per la vita poiché è la vita che ci pone di fronte alle sfide. Il politico comunista, invitava dunque a studiare. Prendere un brutto voto tale da pregiudicare la bocciatura può avere dei risvolti positivi per l’alunno tali da fargli capire che il prossimo anno deve studiare e impegnarsi di più. Bocciare non è una cosa bella, ma i docenti devono saper ben distinguere la valenza della bocciatura, cioè se far ripetere l’anno ad un alunno possa servire a farlo maturare e irrobustire la sua preparazione oppure non serve a nulla in quanto non apporta segnali positivi. Spesso i ragazzi quando vengono bocciati si scoraggiano, entrano nella fase dello sconforto, della rabbia, della convinzione di non potercela fare e così possono arrivare a compiere gesti inconsulti. La bocciatura per l’alunno consapevole di non aver studiato deve, invece, essere da sprone, da incitamento, da rincorsa a fare meglio, a studiare con maggiore impegno, a riempirsi di orgoglio, di voglia di superare l’altro. Bocciare, tuttavia, è indicatore di sconfitta, di frustrazione, per l’alunno, la scuola e la società. Purtroppo i ragazzi devono capire che la scuola è per loro un’opportunità di crescita, devono capire che studiare è importante per la loro stessa vita non per la scuola Farsi bocciare è veramente brutto perché è come se gli alunni non accettassero le sfide della vita, le competizioni, non avessero più quell’orgoglio personale che li spinge, li incita a mettersi in gioco con i pari e dire “se io studiassi diventerei bravo come il mio compagno”.
Mario Bocola
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