Il Presidente di Associazione Nazionale Docenti, il prof. Francesco Greco, è stato ascoltato, nell’audizione del 30 novembre 2018 alla Commissione Cultura e Istruzione del Senato, riguardo il disegno di legge per l’abolizione della chiamata diretta. Greco ha ricordato che sarebbe stata necessaria l’abrogazione della legge 107/2015 per ricostruire un sistema scolastico fondato sui principi della carta costituzionale. Rispetto al disegno di legge sull’abolizione della chiamata diretta, Greco ha presentato degli emendamenti migliorativi.
Esprimiamo la nostra chiara condivisione alla proposta di eliminazione della chiamata diretta e degli ambiti territoriali. Esprimiamo, altresì, il nostro positivo apprezzamento al lavoro svolto dai proponenti, ed in particolare alla senatrice Bianca Laura Granato, prima firmataria.
Prima di entrare nel merito dell’articolato e di formulare le nostre osservazioni e proposte di modifica/integrazioni al testo del progetto di legge, riteniamo comunque necessario fare una opportuna premessa.
Siamo consapevoli che molte questioni necessitano di azioni urgenti e immediate, tra cui sicuramente rientrano l’eliminazione della “chiamata diretta” e degli “ambiti territoriali”, pur tuttavia quando vengono affrontate nei termini generali che la via legislativa impone, occorre anche che gli interventi siano ponderati ed adeguati. Dalla nuova compagine politica, le aspettative, coerentemente con gli impegni pubblicamente assunti in campagna elettorale, erano che si iniziasse, per via legislativa, con il rivedere e ripensare alla radice scelte aberranti e politiche nefaste che hanno caratterizzato il governo dell’istruzione degli ultimi vent’anni. Una vera e propria fase destruens che ponesse le condizioni per una successiva fase construens, in cui si potesse lavorare per riportare il nostro sistema educativo nell’alveo tracciato dalla Costituzione.
Nella fase destruens, sicuramente, la prima proposta di legge sulla scuola avrebbe dovuto contenere un solo articolo “La legge del 13 luglio 2015, n.107, fatte salve le immissioni in ruolo di cui al piano straordinario, è abrogata”.
Pertanto, auspichiamo, e sollecitiamo, che sulla scuola si incominci a progettare e ragionare in una logica di sistema che abbia il respiro di una visione d’insieme alla quale le singole questioni sono connesse.
Già in seguito all’accordo del 26 giugno u.s. sulla eliminazione della “chiamata diretta”, che anticipava per via contrattuale quanto poi avrebbe dovuto trovare effettiva e legittima attuazione in sede legislativa, abbiamo espresso, con una lettera inviata al ministro Bussetti, la nostra condivisione. L’eliminazione di uno degli istituti più deleteri della legge 107/2015 assumeva, senza alcun dubbio, il significato di un primo passo verso il reindirizzamento della scuola verso i più consoni binari del rispetto dell’ordinamento costituzionale. Un intervento necessario per il superamento delle aberrazioni prodotte dall’inveterata “buona scuola” e delle umiliazioni fatte patire ad un’intera categoria professionale. Una scelta che, fermo restando la sua forte valenza politica, tuttavia, lasciava in ombra tante questioni, su molte delle quali si era registrata una sostanziale convergenza tra impegni elettorali e legittime aspettative del mondo della scuola.
In tal senso, scrivevamo al ministro, che si doveva intervenire con la medesima celerità, data la stretta correlazione con la chiamata diretta, sugli ambiti territoriali. Una correlazione resa ancor più evidente dalla precedente denominazione di “albi”, come erano definiti gli ambiti nel progetto di legge della “buona scuola”, che albi ovviamente non erano quanto piuttosto delle “liste di chiamata” che noi definimmo, proprio in un’audizione parlamentare di fronte alle commissioni riunite di Camera e Senato del 7 aprile del 2015, “liste di proscrizione”, in considerazione del fatto che i docenti erano costretti a “mettersi a disposizione del migliore offerente”. Gli albi poi, pur nominalmente mutati in “ambiti territoriali”, hanno conservato la ragione della loro istituzione e della loro funzione ovvero una sorta di “parco buoi” da dove i dirigenti scolastici potessero “pescare” i docenti a loro graditi.
In nome della logica degli ambiti sono fatte cadere importanti regole sulla formazione degli organici e delle cattedre e dell’assegnazione alle stesse e introdotta una nuova e non augurabile “titolarità su ambito”; consentita la costituzione di posti fantasiosi tra scuole situate in comuni spesso distanti diverse decine di chilometri e tanti insegnanti costretti a peregrinare su intere province. Per i docenti, dunque, nuove forme di precarietà e un ulteriore svilimento della dignità professionale, costretti a dipendere, con la chiamata diretta, dalla scelta discrezionale, più spesso arbitraria, di un dirigente scolastico.
La cancellazione della chiamata diretta, finora avvenuta solo per via contrattuale, pone dunque la necessità di intervenire per via legislativa per dare legittimità giuridica alla decisione assunta dalle parti sociali, ma anche quella indifferibile di eliminare gli ambiti territoriali. Ed in tal senso, la proposta di legge, diviene un “atto legislativo dovuto e necessario” che sicuramente avrà effetti rilevanti, ma certamente insufficienti a consentire al nostro sistema educativo di avanzare verso quella prospettiva di cambiamento da tempo auspicata.
Ciò doverosamente premesso, riguardo al progetto di legge formuliamo le seguenti osservazioni, richieste di modifiche e/o integrazione.
Il progetto di legge, infatti, riprendendo il testo della legge 107/2015, c. 66, conferma, con la sola esclusione dell’inciso riguardante gli ambiti, quasi per intero la prima frase che attribuisce carattere regionale ai ruoli del personale docente. Francamente, è di tutta evidenza che l’attribuzione di ruoli regionali al personale docente, altro non è che il primo gradino verso una regionalizzazione del sistema che non solo tradirebbe lo spirito e la volontà dei nostri costituenti di assicurare a tutti gli italiani pari opportunità di istruzione, ma accrescerebbe ancor di più quelle fratture territoriali che già sono oggetto di lacerazioni e di discriminazioni sociali.
Pertanto, se la lettera b) dell’art.1 del progetto di legge intenda veramente riferirsi ai ruoli del personale docente, allora è bene che tali ruoli siano provinciali.
Difatti, non si comprende quale possa essere tale situazione. I docenti che hanno titolarità nell’ambito, con il venir meno degli ambiti vengono assegnati alle istituzioni scolastiche ove vi siano disponibilità di posti, in difetto rimarrebbero in soprannumero provinciale.
«85. I docenti sono assegnati per l’intero orario sul posto o sulla cattedra di titolarità. I provvedimenti di assegnazione dei docenti alle classi, dopo venti giorni dall’adozione, possono essere modificati solo per gravi motivi.»
Consideriamo necessario inserire questo ulteriore punto che eviterebbe il fenomeno delle cattedre spezzatino e dei docenti “tappa buchi” che vengono distratti dall’impegno didattico a favore di attività altre.
L’organico di molte Istituzioni scolastiche risulta composto da più sedi scolastiche allocate in Comuni talvolta anche molto distanti tra loro, l’emendamento proposto mira a limitare il potere discrezionale dei dirigenti scolastici di assegnare i docenti alle classi nel Comune ove i docenti abbiano prestato servizio nell’anno scolastico immediatamente precedente a quello in cui si verifica la nuova assegnazione alle classi e sono finalizzati a tutelare il diritto alla continuità didattica degli alunni e ad evitare il verificarsi di situazioni non legittime e/o discriminatorie.
Difatti, non si comprende la ratio dell’esclusione dei docenti dalla partecipazione ad iniziative promosse con accordi di rete, mentre viene garantita a soggetti esterni. A nostro giudizio, occorre che sia garantita una partecipazione facoltativa e libera dei docenti, sia nella fase progettuale che in quella attuativa, anche come forma di controllo preventivo e successivo di quanto sarà realizzato.
Invero, i posti di potenziamento sono stati un espediente funzionale al piano straordinario delle assunzioni che ha consentito assunzioni anche là dove altrimenti non sarebbe stato possibile. Nondimeno, i posti di potenziamento si sono rilevati uno strumento eccezionale, e in molti casi deleterio, per scardinare l’organizzazione didattica, con effetti perniciosi e umilianti per la dignità e la professionalità dei docenti che si sono trovati, nella stragrande situazione dei casi, costretti a lasciare ore di insegnamento curriculare per svolgere attività di supplenza di docenti assenti. In alcune scuole, ciò è stato, addirittura, sistematicamente organizzato. I docenti in tali situazioni, di fatto, sono divenuti dei precari a tempo indeterminato.
In altre situazioni i posti di potenziamento sono stati utilizzati in progetti fantasiosi e in “attività altre” che non hanno avuto alcuna ricaduta nel miglioramento degli esiti scolastici.
A nostro giudizio, non si trattava di assegnare alle scuole posti aggiuntivi, ma piuttosto delle ore aggiuntive, il cui ammontare, distribuito in relazioni alle richieste delle singole scuole avrebbe dovuto essere utilizzato per far fronte alle criticità rilevate in alcune classi per alcune discipline. Ad utilizzare queste ore, in aggiunta all’orario curriculare, sarebbero stati gli stessi docenti che ne avrebbero fatto richiesta per superare le criticità riscontrate nei livelli di apprendimento degli studenti. In mancanza della disponibilità dei docenti della classe interessata, si sarebbe dovuta assicurare alla scuola la facoltà di chiedere la disponibilità ad altri docenti della stessa scuola e della medesima disciplina.
D’altronde, per assicurare i numeri necessari al piano straordinario delle assunzioni, molto più opportunamente si sarebbe potuto intervenire con i consueti decreti interministeriali annuali di definizione degli organici, abbassando il numero alunni/classe. Una misura che sicuramente avrebbe contribuito al miglioramento del contesto strutturale della didattica, con effetti positivi anche sugli apprendimenti.
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