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Griglia correzione temi, un docente: “Chi è dotato di buon senso la usa, così i genitori ci pensano due volte a criticare un voto”

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Come si correggono i temi di italiano? Ci sono indicatori che i docenti seguono oppure no? In base a cosa costruire una valutazione giusta? Questo è l’argomento di un articolo pubblicato su Il Post a firma Gianluca Nativo, un insegnante.

Non tutti i docenti usano una griglia?

Ecco le sue parole, intrise di aneddoti: “La valutazione di un testo scritto è un’operazione complessa. Nei miei anni da studente ricordo valutazioni sterili, a volte accompagnate da commenti laconici che non dicevano nulla in merito al voto dato al mio tema. Solo una volta ho preso un nove –  avevo scritto una recensione delle Città invisibili di Calvino – ma ripensandoci credo che quella valutazione fosse stata condizionata dalla media finale in vista del voto in entrata alla maturità”. 

“Da docente, all’epoca del mio primo anno di insegnamento, all’oscuro di ogni pratica pedagogica, pescato dalla terza fascia delle graduatorie d’istituto (quelle riservate a chi non è ancora di ruolo), ricordo durante una pausa tra un consiglio di classe e l’altro una mia collega che si lamentava del troppo tempo impiegato per correggere i temi. A una prima lettura di ogni testo dedicava almeno quindici minuti, ai quali si aggiungevano altri dieci per la seconda lettura e un tempo indeterminato per decidere poi la valutazione finale. Secondo i suoi calcoli impiegava circa otto ore: ‘E chi me le paga queste ore in più?'”.

“Io al contrario ci mettevo molto meno, al massimo due pomeriggi. Un mio studente di seconda media, ridendo, mi rivelò che lui, durante le vacanze di Natale, mi immaginava piegato davanti a un caminetto, con gli occhiali, a correggere minuziosamente le loro verifiche. Nonostante io avessi meno di trent’anni, non portassi gli occhiali e chiaramente non mi sarei potuto permettere un caminetto nella stanza in condivisione dove abitavo in Città Studi, e al netto della fantasia dickensiana del mio studente, nell’immaginario collettivo i docenti che correggono i compiti in classe generano ancora una certa tristezza”, ha aggiunto.

Il consiglio

Ecco cosa, tra le righe, consiglia il docente ai suoi colleghi: “Durante un corso di formazione sulla didattica dell’italiano, io e le mie colleghe fummo costretti ad ammettere alla docente della formazione che per i temi in classe non utilizzavamo rubriche di valutazione. ‘E come fate con la valutazione autentica?’, ci aveva chiesto sbigottita. Io mi ero precipitato su Google per cercare cosa significasse valutazione autentica”.

“Una valutazione per essere definita autentica non può soffermarsi esclusivamente sulla prestazione finale o su un test oggettivo – che verifica solo l’accumularsi delle conoscenze – ma deve valutare il processo di apprendimento, enfatizzare l’autovalutazione, e quando lavora con i prodotti finali – tema, questionario, esposizione eccetera – deve raccoglierli e tenerli sottomano nell’ottica di un portfolio. Come ci spiegò la formatrice, qualsiasi docente dotato di buon senso prima di assegnare una produzione scritta è tenuto a stilare e a condividere con gli alunni una rubrica di valutazione. Di solito queste consistono in una scala di valori prestabiliti – indicatori – a cui vengono associati una lista di criteri che descrivono le caratteristiche della valutazione a queste associate – descrittori. Ma così si rischia di perdersi nelle astrazioni della pedagogia”, ha proseguito.

A suo avviso il metodo illustrato è vincente: “Durante il momento della verifica, sia io docente che gli studenti erano più consapevoli di cosa fare, di quale obiettivo raggiungere. E lo sarà stato anche il genitore, il quale ci avrà pensato due volte prima di polemizzare contro una valutazione e richiedere l’accesso agli atti”.

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