Quelle domande iniziali, di bambini e adolescenti credo non si accontentino delle spiegazioni tradizionali, convenzionali, quelle che vanno per la maggiore in giornali, nella tv, in internet.
Quelle domande invece chiedono di essere pensate. E non solo subite, quasi figlie del caos fattosi destino.
Anche la pandemia qualcosa ce l’ha insegnata: che la Terra non è solo degli umani, ma di ogni essere vivente. Ma gli uomini, attraverso (si spera sempre) una buona politica, un sapere umano che si fa anche sapere scientifico, un’etica che chiede di riconoscerci tutti parte della stessa famiglia umana, ed un senso della meraviglia per la bellezza del creato, che ci spinge ad aprirci a dimensioni estetiche e religiose che permeano ogni interstizio di esistenza: tutto questo ci dice che il primo sentimento che dovrebbe trasparire dai nostri pensieri e comportamenti non è la volontà di potenza. Quella stessa volontà che vediamo riempire anche oggi le pagine dei giornali ed i siti delle news e dei social.
Quelle stesse domande non si lasciano accontentare dalle nostre prime risposte. Vanno cioè più a fondo, tanto da chiedersi e chiederci: perché?
Perché gli uomini, al dunque, si lasciano catturare dalla volontà di potenza, di prevaricazione, di un successo sopra e contro gli altri, che si chiamino persone, differenti realtà sociali, etniche, geografiche, di pensiero ed abitudine, di convinzione anche religiosa?
Perché non riescono a pensare che conta ciò che unisce, e non ciò che divide? Perché, perciò, il male è o sarebbe più conveniente del bene?
Perché ci rendiamo l’importanza delle cose buone solo quando ci capitano le cose cattive? Dove sta quella inclinazione al male che prevale sull’istinto di bene?
Si tratta di quel male che Immanuel Kant ha definito, “radicale”, altro modo per richiamare il “peccato originale” di biblica memoria. Cioè quel peccato originario che, dai progenitori dell’umanità, chiamati Adamo ed Eva, avrebbero commesso contro il Dio Creatore, il Dio del bene.
Il Dio di Israele, si dirà poi nel vangelo, è il Dio della vita, e la salvezza o liberazione dal male avviene, nel venerdì santo, solo con la croce. Per cui non ci può essere la festa della Pasqua senza il venerdì santo. Cioè il dono totale della vita.
Quante croci vediamo, anche oggi, piantate dalla “povera gente”? E questa stessa “povera gente” ha come destino di vita solo di subire la volontà di potenza del potente di turno? Il diritto internazionale, ad esempio, non ci offre altri appigli, per la salvezza delle persone in tutti i campi? Nelle guerre come nell’economia, nel lavoro, nelle ingiustizie sociali, nelle povertà culturali e spirituali.
La salvezza umana prelude ad altre forme di salvezza. Compreso il dialogo inter religioso, culturale, sociale, economico, politico.
Ma che la vera salvezza, quella che possiamo intuire nella nostra vita e nella vita di tutti, passi attraverso la consapevolezza, in fondo, che il male ha origine prima di tutto dentro di noi, e che la gioia della vita, da cui la pace, non sia altro che un dono che siamo chiamati non a volere, ma ad accogliere? Ed accogliere reciprocamente, mettendo tra parentesi le rispettive volontà di potenza? Anzi, che la vita stessa sia un dono, e non un processo di autodeterminazione?