Ha senso ancora la cultura umanistica? Il dibattito è aperto

“La cultura umanista sembra aver concluso il suo ciclo, ai ragazzi non arriva più niente di tutto quel mondo che ha ospitato e educato generazioni e generazioni, che ha prodotto una visione del mondo complessa eppure sempre animata dalla speranza di poter spiegare tutto nel modo più chiaro, adeguato alla mente dell’uomo, alle sue domande, ai suoi timori. Finito, possiamo mettere una pietra sopra alla filosofia greca, alla potenza e all’atto, alla maieutica e all’iperuranio, alla letteratura latina, alla poesia italiana da Petrarca a Luzi, al pensiero cristiano e a quello rinascimentale, con le loro differenze e le loro vicinanze, ai poemi cavallereschi e agli angeli barocchi, all’idealismo tedesco e al simbolismo francese, a Chaplin e Bergman, Visconti e Fellini: è tutto precipitato giù per le scale buie della cantina, tutto scaraventato alla rinfusa nel deposito degli oggetti perduti.” A parte qualche eccezione, continua Lodoli, “per la stragrande maggioranza dei ragazzi di oggi tutto il patrimonio culturale del nostro Paese non significa più niente. È un universo in bianco e nero, malinconico, pensante e dunque pesante, polveroso come una parrucca. Oggi i ragazzi non si voltano più indietro, la vita è adesso, qui e ora, e poi di nuovo qui e ora, e quello che è stato è stato, e tutte le chiacchiere dei vecchi sono fumo nel vento. Il presente si nutre di se stesso, digerisce se stesso e va avanti. L’arte, il pensiero, la letteratura dei secoli andati è lenta, è puro impedimento vitale, ruminamento in epoca di fast food. Questa è la stagione del desiderio, dell’onnipotenza tecnologica, dei corpi che vanno più veloci del pensiero, è la stagione del disprezzo verso ogni forma di misura, di armonia, di compostezza classica, di ragionamento lento e articolato. I ragazzi stanno tutti altrove, davanti a qualche schermo acceso, su qualche aereo che vola sul mondo, in un futuro che allegramente, superbamente, se ne frega di ciò che è stato e che non sarà mai più. Oggi loro sentono che la vita è altrove e la memoria non basta a reggere l’urto con le onde fragorose del mondo che sarà, che è già qui: serve energia, e quella non la trovi più nei cataloghi e nei musei.”
A lui risponde dalle colonne di Repubblica, Valerio Magrelli: “Verissimo, ma la mia esperienza con studenti universitari del primo anno di lettere e lingue risulta differente. Tra professori e allievi esistono ancora dei punti di contatto. Ma per trovarne ho abbandonato i riferimenti al cinema, preferendo i giornali e la tv. Studiando il teatro francese del Seicento, ad esempio, ho menzionato i libertini amici di Molière, quei precursori dell’Illuminismo che vennero perseguitati dalla Chiesa e dai Protestanti in quanto epicurei, materialistici, atei. Ebbene, per esaminare l’intolleranza, i roghi, le torture, Vanini e Gassendi, su su fino a Voltaire e Diderot, ho voluto parlare di Rushdie, autore, va da sé, ignorato dai presenti. Raccontando della fatwa, ho notato la somiglianza fra la teocrazia sciita degli ayatollah iraniani e quella cattolica dei papi romani, ricordando che la Santa Sede, lungi dal rinunciare al suo bimillenario potere temporale, vi fu costretto a cannonate, dai nostri bersaglieri, a Porta Pia (peraltro, nella Città del Vaticano, la pena di morte, praticata fino al 1870, fu abolita nel 2001). Ciò per dire che il libero pensiero non è una concessione generosamente elargitaci, bensì una conquista ottenuta col sangue dei martiri laici, martiri che nell’Islam furono sconfitti malgrado lo straordinario impulso profuso sin dal X secolo.”
Tuttavia a tale proposito ci è venuto in mente quanto fa Roberto Benigni con la lettura televisiva della Divina Commedia e di Dante, ritenuto talvolta pure ostico, superato, inattuale e che non riuscirebbe più a suscitare interesse per i giovani chattanti su spazi di esperienze virtuali.
Se i docenti spiegassero e illustrassero con similare fervore, intelligenza, passione, impegno, competenza, anche senza la raffinata arte affabulatoria dell’attore, probabilmente qualche risultato, sul versante dell’Umanesimo messo in crisi da Lodoli, si avrebbe.
Basterebbe dunque che ogni insegnate durante la sua ora si facesse portatore leale delle sue conoscenze, che desse il meglio di sé, che amasse profondamente la sua disciplina e che la comunicasse con quella tensione che Benigni (ma lui è un artista, si dirà) ci ha semplicemente insegnato e mostrato in Tv, per riscattare un futuro forse un po’ migliore per la nostra scuole e con qualche speranza in più per i nostri studenti.
Per questo crediamo che sulla scuola non si debba più scherzare, ne giocarci col teatrino della politica, né con affondi che alla fine si rivelano persino maldestri. 
E occorrerebbe pure che il Miur iniziasse a pensare a corsi di aggiornamento in cui la didattica finalmente abbia un ruolo di primissimo piano e finalizzata a dare più forza e credibilità al lavoro spesso misconosciuto dei docenti.

Pasquale Almirante

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