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Halloween e l’antica cultura siciliana della “festa dei morti”

L’America e la cultura anglosassone in generale stanno imponendo Halloween e anche in Sicilia lentamente si sta diffondendo, mentre solo appena qualche lustro addietro, il due novembre, i bambini di quest’Isola ricevevano “le Cose dei morti” che, ancora lustri prima, consistevano nei prodotti della terra: le castagne, le mele, i fichi secchi, le mostarde, le marmellate e le cotognate.
Così il due novembre, il giorno dei morti, diventava una festa per i bambini che appena alzati andavano alla ricerca per casa di ciò che il nonno o il parente scomparso, l’avo avevano loro lasciato in qualche angolo di una stanza.
Con gli anni, i regali che i morti “lasciavano” ai bambini si trasformarono e furono la pistola e la bambola, la frutta martorana e la pupa di zucchero. E il giorno dei morti si mutava pure in una sorta di pellegrinaggio nelle case di parenti, perché anche lì l’avo lasciava i suoi regali, il suo segno e il suo pegno d’amore, in un dialogo che il tempo restituiva senza appannamenti.
Andare al cimitero coi genitori aveva allora il senso del ringraziamento verso chi non c’era più fisicamente, ma dei cui frutti ancora ciascun bimbo godeva nella semplicità di quel tempo.
E i frutti erano appunto quelli della terra, perché in terra fertile il corpo dell’avo s’era mutato e ora restituiva nelle forme di quei prodotti una parte di sé alla discendenza, in un eterno ritorno della vita che legava gli uomini alle “cose” e alla terra stessa che per dare nuova vita aveva pure bisogno di morire. Festeggiando i morti, quella civiltà agricola siciliana, festeggiava la vita rappresentata nella tangibilità dei regali disseminati dentro le case dagli avi e lasciati ai piccoli che erano la speranza e la vita e dunque la nuova primavera che s’attende dopo i rigori (la morte) invernali.
L’avo dunque ritornava nella tangibilità di quei segni e di quei frutti che durante la notte fra Ogni Santi e la commemorazione dei defunti venivano lasciati: i morti nel silenzio del buio nascondevano, come nei giochi capricciosi, le “cose”.
La vecchia sapienza contadina si tramandava allora ai figli e ai nipoti che a loro volta intuivano che quelle stesse tradizioni dovevano continuare a mantenere, affinché anche chi più non c’era ritornasse accanto ai vivi e accanto al focolare dove si era intrattenuto, raccontando l’arcano e l’immediato, le semine e il raccolto, i tempi e le vicende.
Oggi dall’America ci arriva Halloween, con zucche e travestimenti, e su cui il giudizio sospendiamo, benché incomprensibile appare che in tante scuole, primarie soprattutto, siciliane invece di riprendere questa antica e nobile tradizione della civiltà contadina, da cui tutti i suoi abitanti discendono, gli insegnanti si sforzino di recuperare zucche e travestimenti, scimmiottando costumanze e saghe nordiche brumose che con la cultura siciliana, e più in generale della intera Nazione, nulla hanno a che fare.

Pasquale Almirante

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