Hanno ancora valore i titoli culturali? O sono carta straccia? Certo che l’Italia è un Paese molto strano in quanto nel Bel Paese fa carriera chi ha meno titoli, mentre chi per anni ha investito molto sulla formazione conseguendo titoli culturali fa il passo del gambero. Altro che meritocrazia, o meglio alla faccia della meritocrazia.
In questo malcapitato Paese c’è gente che nel corso degli anni ha investito tanto costruendosi un bagaglio di conoscenze e di competenze ragguardevoli: lauree, corsi di perfezionamento, dottorati di ricerca, master, pubblicazioni, che si è poi ritrovata con un pugno di mosche in mano.
Sta di fatto che in Italia la persona preparata, competente, con un background culturale di tutto rispetto resta alla porta nella vana speranza che qualcuno si accorga di lui. Dall’altra parte c’è gente, invece, che con pochi titoli ricopre prestigiosi incarichi forse non avendo nemmeno le competenze adeguate a ricoprire ruoli importanti.
Negli altri Paesi dell’Europa non è così perché si premia il merito, l’efficacia, la competenza dimostrata sul campo. Non dobbiamo affatto meravigliarci che cresce sempre di più la fuga dei cervelli, che i giovani vanno a studiare all’estero e affermandosi in quel Paese europeo dove hanno speso forze ed energie vogliono a tutti i costi restare fuori dall’Italia e non farvi ritorno.
La nostra Nazione invita poco a costruirsi un futuro, ad affermarsi nel campo professionale perché quello che offre è veramente poco allettante. Ecco perché non siamo considerati a livello europeo, dove i giovani veramente capaci e volenterosi ricevono offerte soddisfacenti da Enti di Ricerca e Università che propongono contratti di lavoro vantaggiosi e onorevoli.
L’Italia non investe in cultura e formazione pur avendo una storia economica, sociale, culturale da invidiare agli altri Stati del Vecchio Continente.
È veramente una constatazione amara, che non lascia speranze e sono molti i casi che la cronaca ci propina di scandali nella Pubblica Amministrazione, di concorsi “vellutati”, di assunzioni scese col “panarello” dal cielo sulla base di requisiti minimi e non ponderati su curriculum adeguati.
Non resta che prendere atto che in Italia le cose funzionano così
Mario Bocola
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