Per hikikomori, termine giapponese, perché in Giappone furono identificati per la prima volta negli anni ’90, si intendono i giovani che si autorecludono in casa, senza nessun contatto con il mondo esterno per almeno sei mesi. Il termine infatti significa “stare in disparte“. Secondo il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara a oggi il fenomeno in Italia interessa circa 50mila ragazzi e ragazze di età compresa fra 14 e 30 anni.
In Italia sono circa 50mila dietro cui, in generale, si nascondono spesso contesti familiari disfunzionali o traumi subiti. Questa forma di auto esclusione sociale può innescare depressioni, ansie, disturbi dissociativi e autolesionismo.
Il Fatto Quotidiano ha parlato con uno di questi ragazzi, di questi reclusi sociali i quali nascondono una galassia di disturbi che sono diversi tra di loro, ma uniti nel rifiuto di sentirsi costantemente giudicati dal mondo, quello che resta fuori dalle loro stanze.
“A me è scaduta pure la carta d’identità. Non esco da dieci anni. Provo a fare meno richieste possibili anche sul cibo. Mio padre sta diventando anziano e quando non ci sarà più lui non so chi si prenderà cura di me”, dice il ragazzo intervistato dal giornale.
Mentre una madre di una giovane auto reclusa racconta come abbia adattato la propria esistenza per stare vicina alla figlia di tredici anni: “Non c’è assistenza. Lo psichiatra dell’Asl non viene a casa. Devo fare sforzi continui, mi resta la paura che magari un giorno il tribunale me la possa portare via per le assenze che fa a scuola. Non vedo altro nelle istituzioni”.
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