Alle ore 8,15, il 6 agosto 1945, ben 71 anni fa il pilota bombardiere Enola Gay sganciò la bomba atomica all’uranio sulla città di Hiroshima.
Uno dei piloti – si dice – si chiuse in clausura nella Certosa di Serra S.Bruno fino alla fine dei suoi giorni. Qualche anno fa l’ho chiesto a Sergio Romano che così rispose sulle colonne del Corriere della Sera (allegato).
Tratto dal Corriere della Sera:
Hiroshima: rimorsi, indifferenza, cinismo
Si narra, e la stampa in passato se ne è occupata con autorevoli firme, che uno fra coloro che lanciarono la bomba su Hiroshima decise di ritirarsi nella Certosa di Serra S. Bruno e di trascorrere nelle vesti di certosino il resto dei suoi giorni in regime di clausura. Lei ne sa qualcosa? E in caso di risposta negativa, sa almeno qualcosa più in generale di ciò che fu di coloro che sganciarono la bomba?
Caro Guarna, alla sua domanda sul pilota divenuto trappista non so rispondere. Ma posso cercare di dare una risposta al suo secondo quesito ricavando qualche informazione dal libro dello scrittore e regista inglese Stephen Walker (Appuntamento a Hiroshima) apparso ora presso Longanesi. Al momento della pubblicazione del libro in inglese i superstiti dell’Enola Gay (l’aereo che lanciò la prima bomba atomica il 6 agosto 1945) erano tre: Paul Tibbets, Dutch Van Kirk e Morris Jepson.
Il primo aveva novant’anni e ha sempre dichiarato di non avere alcun rimorso: «Mi avevano ordinato di farlo. Se mi ordinassero oggi di fare una cosa simile, mi comporterei come mi hanno insegnato in tutti questi anni di servizio militare, cioè obbedirei senza problemi».
Walker ricorda che nel 1976 Tibbets suscitò scandalo volando su un bombardiere B29 restaurato, durante una manifestazione aerea nel Texas, e simulando il lancio di un ordigno nucleare. A terra, non appena la falsa bomba toccò il suolo, un gruppo di artificieri confezionarono una esplosione a forma di fungo di fronte a quarantamila persone. Il sindaco di Hiroshima disse che lo spettacolo era grottesco, il governo giapponese protestò, il governo americano presentò le sue scuse e Tibbets disse di non riuscire a «capire il motivo di tutto quel polverone».
Il secondo, Van Kirk, aveva ottantaquattro anni e non ha mai avuto rimpianti. «Non ho bisogno di scusarmi, dice, perché in tutta onestà credo che la bomba abbia salvato molte vite».
Il terzo, Jepson, ha detto di essere d’accordo con Van Kirk, ma in una intervista, molti anni fa, dichiarò che sarebbe stato possibile usare la bomba per dare una lezione ai giapponesi «senza distruggere una città».
Un membro dell’equipaggio morto qualche anno fa, il mitragliere di coda dell’aereo Bob Caron, disse di avere provato, guardando le fotografie della distruzione, «un po’ di senso di colpa». In un’altra occasione, quando era più avanti negli anni, disse anche: «Quando penso alle bombe a fissione o a fusione di oggi mi chiedo se non stiamo inoltrandoci nel territorio di Dio». Queste sono le reazioni e i ricordi di alcuni fra coloro che parteciparono al primo bombardamento atomico della storia.
Fra quanti erano stati direttamente o indirettamente coinvolti nell’operazione, le reazioni furono diverse. Al ritorno nella base del 509° gruppo aereo, da cui era partito, l’equipaggio dell’Enola Gay ebbe un’accoglienza trionfale e venne festeggiato, applaudito, decorato, filmato e fotografato. Il generale Leslie R. Groves, direttore del Progetto Manhattan, rimase fino alla fine della sua vita un «accanito sostenitore della bomba». Non aveva alcuna intenzione di scusarsi: «Non siamo stati noi a cominciare la guerra ». Alcuni scienziati (Leo Szilard, J. Robert Oppenheimer) e uomini politici (il segretario di Stato alla Guerra Henry Stimson) provarono una sorta di rimorso. Non ebbe rimpianti invece il presidente degli Stati Uniti Harry Truman.
Quando il Consiglio federale delle Chiese di Cristo in America gli manifestò con un telegramma una decisa ostilità all’uso delle armi atomiche, Truman rispose: «Nessuno è più turbato di me, ma sono stato molto turbato anche dall’attacco arbitrario dei giapponesi a Pearl Harbor e dal fatto che abbiano ucciso prigionieri di guerra». Ripeté grosso modo gli stessi concetti nella lettera con cui rispose nel 1958 a un messaggio del sindaco di Hiroshima. La firmò e la dette al suo segretario con queste parole: «La manderemo per posta aerea (il corsivo è mio, s.r.). Assicurati che sia opportunamente affrancata».
Sergio Romano
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