I lettori ci scrivono

Ho paura del ritorno a scuola. E non mi sento in colpa

Mi associo quanto sostiene la collega Chiara Celino nel suo intervento dal titolo “Quello che i docenti si sentono rispondere”.

Non mi sento in colpa nel dire che ho paura del ritorno a scuola. Mi auguro che le previsioni più positive siano quelle giuste. Me lo auguro come docente di scuola superiore che ha voglia di rivedere i suoi studenti, come mamma di una ragazza che frequenta le scuole superiori, come cittadina consapevole dell’importanza dell’istruzione, come figlia che ha deciso di non fare neanche un giorno di vacanza proprio per tutelare la mamma novantenne. 

Quando si parla di scuola, e inviterei tutti, VIP e partecipanti a quiz televisivi compresi, a limitare gli interventi, si dovrebbe parlare di insegnamenti, di contenuti, di competenze indispensabili per gestire il futuro, non della necessità di aprire le scuole per permettere ai genitori di lavorare, magari in smart working. Questo fa la scuola, istruisce, e le famiglie educano.

Sono consapevole che la scuola debba ricominciare dopo il periodo del lockdown. Sono altrettanto consapevole delle difficoltà del Ministro Azzolina, che si è trovata a governare una situazione assolutamente nuova in un momento di estrema gravità e sono pure consapevole che tutti gli altri Paesi del mondo stanno vivendo la stessa nostra situazione.

Avrei tuttavia preferito anch’io una maggiore cautela. Sarebbe, per esempio, stato ragionevole prevedere la didattica a distanza per il trienno delle scuole superiori fino a dicembre o stabilire un giorno alla settimana di DAD per le scuole medie inferiori e superiori, così da alleggerire trasporti e scuole stesse. Forse tali misure non avrebbero riscosso un adeguato consenso politico.

Come impiegata dello Stato, farò fino in fondo il mio dovere, a cui in più di trenta anni non mi sono mai sottratta, e rispetterò tutte le norme che sono state indicate e che, in molti casi, sono assai distanti dalla realtà delle nostre scuole. Facendo, come sempre, del mio meglio. Perché so che altrettanto faranno i colleghi docenti di mia figlia, mentre coloro che invece si comporteranno diversamente saranno solo una minoranza.

Qualche anno fa nella città in cui vivo abbiamo vissuto giornate drammatiche per un terremoto di una certa intensità capitato nelle ore mattutine. Grande panico a scuola, la responsabilità di tutelare i ragazzi, il pensiero dei propri familiari. Ricordo bene l’intensità di quei momenti. In fondo alla lista delle mie preoccupazioni c’era la mia bambina, allora alle scuole elementari. Ero più che certa che nelle mani della sua maestra sarebbe stata sicura come nelle mie. Non mi sono affatto sbagliata. La maestra, la stessa che aveva insegnato loro a leggere, scrivere, contare, li aveva protetti e rassicurati e nessun bambino era spaventato. Credo che pochi mestieri meritino come questo tutela e prestigio sociale.

Dunque, nessuno che non viva dentro la scuola parli più dei doveri dei docenti, nessuno lanci appelli, nessuno scriva che senza il compagno di banco niente sarà più come prima, nessuno faccia paragoni con altre categorie di lavoratori che hanno altro ruolo e ben altri riconoscimenti anche economici, nessuno ne faccia parodie.

Se ne parli meno, molto meno, ma senza dimenticarsene quando la pandemia sarà passata.

Lucetta Dodi

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