Leggo ogni giorno sui principali siti che si occupano della scuola e del personale scolastico lettere di protesta contro leggi ingiuste, vere e proprie assurdità e furti legalizzati a cui comunque noi docenti ci sottomettiamo perché, in fin dei conti, ci diciamo che prima o poi arriverà il nostro turno, e raggiungeremo questa chimera che oggi si chiama “ruolo”.
Io sono una docente precaria dell’estremo sud, del Salento per essere precisi, ed ho fatto la scelta di non lasciare la mia terra per andare ad insegnare “al nord” chissà per quanti anni; ho creato qui la mia famiglia, costruito la mia casa grazie al lavoro mio e di mio marito e cresciuto le mie figlie senza allontanarle dalle loro radici, dai nonni, zii e cugini…. È davvero una colpa voler insegnare al Sud? Stimo molto i docenti che vanno lontano da casa per insegnare, lo considero un sacrificio immane soprattutto per chi lascia qui i propri figli, non è una scelta semplice e scontata.
Letteratura e insegnamento sono sempre stati la mia vocazione, perciò mi sono laureata in Lettere quando ormai l’ultimo ciclo di SSIS si stava compiendo. Quando tutti andavano ad abilitarsi in Spagna o in Romania, ho atteso che il mio Stato organizzasse corsi abilitanti senza la necessità di spendere “mila e mila euro” per conseguire ciò che in realtà è solo un diritto di chi ha trascorso la propria esistenza sui libri.
Nell’attesa sono stata assunta presso due Comunità per Minori dove ho lavorato per molti anni; il mio compito, senza alcuna abilitazione, era quello di seguire i ragazzi nei compiti e nello studio pomeridiano. Si trattava di situazioni molto particolari, come potete immaginare e come ben sa chi lavora nel terzo settore.
Di conseguenza ho dovuto realizzare e pianificare varie strategie di apprendimento, che tenessero in conto le differenze tra i singoli ragazzi ma che mi permettessero di seguire tutti con lo stesso impegno. Ho fatto dei corsi di formazione nell’azienda ed ho seguito un Master in Mediazione Interculturale per perfezionarmi.
Ho partecipato alle selezioni per il TFA, restandone fuori per mezzo punto in una prova a risposta aperta (dopo essere arrivata decima su 1200 in Puglia nella prova preselettiva) e non ho ancora raggiunto i 3 anni di servizio nelle secondarie, che mi permetterebbero di accedere ai concorsi straordinari. Ma il fatto di non aver superato la selezione per l’ammissione a un corso che permette di ottenere l’abilitazione per l’ammissione ai concorsi, non significa che io non conosca a fondo la mia materia e le modalità migliori per insegnarla.
Nel 2016 ci dissero che per accedere al concorso ordinario sarebbe stato necessario avere la certificazione Inglese di livello B2, ed io sono corsa a prendere direttamente il C1 in quanto ho studiato approfonditamente questa lingua e realizzato la mia tesi di Laurea in Lingua e Letteratura Inglese.
In seguito siamo stati illusi riguardo ad una fantomatica attivazione dei percorsi FIT, per i quali era necessario acquisire 24 cfu in materie antropo-psico- pedagogiche: allora sono corsa all’Università del Salento, preparato e sostenuto in pochi mesi con ottimi voti i 4 esami integrativi richiesti, al che ci è stato comunicato che del FIT non si sarebbe più fatto nulla e che i 24 crediti sarebbero serviti semplicemente per l’ammissione al Concorso Ordinario rimandato a data da destinarsi, e non danno punteggio in graduatoria.
Moltissimi insegnanti validissimi si ritrovano nella mia identica posizione. E ci ritroviamo a casa perché abbiamo “SOLO LA LAUREA” (quadriennale di vecchio ordimento s’intende). Di conseguenza restiamo ancora qui relegati in terza fascia d’istituto, in cui le supplenze di due settimane sono considerate “supplenze lunghe”. Molti dicono “se non sei abilitato non sei un insegnante”: io affermo che non è un’abilitazione a pagamento e nozionistica a fare un insegnante, così come funziona il conseguimento dell’abilitazione in Italia…. Con un numero estremamente chiuso, ad un costo che non tutti possono permettersi….
Quando entro in classe per me è una gioia, sprizzo felicità da tutti i pori e gli studenti se ne accorgono. Non è una questione di soldi e di stipendio, ma è una questione di fare ciò per cui sei nata ossia INSEGNARE AD IMPARARE. Tutti gli studenti di ogni scuola vogliono imparare, anche quei ragazzi che sembrano più disinteressati e svogliati, e la missione di noi docenti è quella di accendere in tutti l’interesse verso la conoscenza.
Premetto che durante i miei brevi incarichi di supplenza ma soprattutto quando svolgo progetti di Mediazione Interculturale nelle scuole, ho la possibilità di collaborare con molti colleghi che fanno questo mestiere con passione, dai quali ho imparato tanto, molti sono un vero esempio di costanza e dedizione, e i loro alunni lo sanno, perciò portano rispetto e stima.
Raccolgo però da parte di molti ragazzi lamentele riguardo ai metodi di insegnamento dei loro docenti curriculari: chi fa semplicemente sottolineare dal libro, chi fa due schizzi alla lavagna e crede di essere stato capito, chi parla sempre con la stessa tonalità dall’aldilà della cattedra per tutta l’ora… e tutto il lavoro va fatto a casa; alcuni ce la fanno da soli ma la maggior parte ha bisogno di insegnanti specializzati nelle singole materie, perciò poi si alimenta il giro delle lezioni private. Oggi la scuola offre agli insegnanti di ruolo tanti corsi di aggiornamento, la carta docente per pagare corsi di perfezionamento…. Ma siamo sempre alle solite… ci sono docenti per i quali ciò che conta è far passare il mese, “senza infamia e senza lode”, senza avere problemi e facendo poca fatica.
Ma insegnare in una classe tutta tua è un privilegio riservato a pochi e non bisogna sprecarlo. Hai tra le mani i cervelli di domani e dipende da te quello che saranno e cosa diventeranno. Ogni materia ha la sua importanza nel circolo della conoscenza, nessuna è in subordine.
Ciò che chiedo con questa lettera è un concorso ordinario abilitante per tutti gli iscritti in terza fascia delle graduatorie d’istituto, seguito da un anno di messa alla prova in cui ognuno di noi possa avere la possibilità di dimostrare quanto vale.
Tutto questo al fine di evitare le trafile dei percorsi abilitanti che, pur essendo super selettivi non riescono a cogliere la vera essenza di un insegnante, in quanto articolati in prove puramente nozionistiche che poco rispecchiano le capacità di insegnamento e di coordinamento di una classe. Capisco che questo genere di concorso non porterebbe soldi nelle tasche delle Università, ma sarebbe giusto ed equo.
Si parla tanto di qualità e di efficienza degli insegnanti, ma l’efficienza molti spesso la troviamo proprio nei precari che da tanti anni aspettano una legge che vada a loro favore, quelli della terza fascia d’istituto che accettano le supplenze dell’ultimo momento permettendo che questa macchina statale vada avanti…. Entrano nelle classi senza fare domande e senza chiedere aumenti, sperando solo di aumentare il proprio punteggio per salire di un gradino i graduatoria.
Lo Stato non mi permette di infondere il mio entusiasmo e la mia preparazione nella scuola, ma senza insegnare non posso stare e mi prodigo dedicando tutti i miei pomeriggi a dare lezioni private a gruppi di studenti che hanno diverse difficoltà.
Prima o poi il mio turno arriverà. Emanuela Bruno
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