Fiumi di parole, sulla scuola, sulla DAD ed, intanto, tutti: ministri, presidi, docenti, ATA, studenti e famiglie ci siamo adattati e stiamo facendo il possibile per garantire un minimo di contatti umani più che “scolastici” tra i protagonisti di quella che viene denominata “comunità educante”. Eh già, bella espressione di cui ci si riempie la bocca e gli scritti per far passare di tutto e di più, per dar sfogo a quell’ io represso che in ciascuno di noi nasconde il nostro lato “repressivo dittatoriale”.
Ho visto ministri e burocrati ministeriali tentare di imporre con note e circolari (e spero non lo si faccia con decreti) “nuove metodologie didattiche”; ho visto solerti dirigenti che hanno riproposto obblighi e prestazioni lavorative che nulla hanno a che fare con l’emergenza che stiamo vivendo; ho visto solerti dirigenti presiedere consigli di classe on line per effettuare le valutazioni intermedie (cosiddetto “pagellino”), ho visto dirigenti e colleghi chiedere di riformulare programmazioni didattiche alla luce della DAD riproponendo tempi e scadenze di una normalità che non esiste, ho visto genitori intervenire nelle “videolezioni” e nelle valutazioni, ho visto hacker violare la privacy di docenti e studenti, ho visto docenti lavorare h 24 ed allievi sottrarsi alle “videolezioni” nascondendosi dietro connessioni che “non vanno”, ho visto docenti contattati alle 2,00 di notte sui social ed allievi che non accettano “videolezioni” perchè alle 12,00 “ancora sto dormendo”.
Evidentemente abbiamo perso tutti il senso di quello che ci sta accadendo intorno, ad oggi abbiamo circa 120.000 (centoventimila) contagiati e circa 15.000 (quindicimila) morti per Coronavirus, è questa la normalità in cui pensano e pensiamo di vivere ministri, presidi, docenti e famiglie? Quale terremoto, quale altra catastrofe ha avuto un così alto numero di vittime negli ultimi decenni in Italia?
Ed, allora, che senso ha definire la DAD come strumento tramite cui “si possa continuare a dare corpo e vita al principio costituzionale del diritto all’istruzione” quando si sa benissimo che il diritto all’istruzione non può prescindere da un altro diritto fondamentale della Costituzione: il diritto all’uguaglianza.
Non c’è bisogno di disturbare Don Milani con il suo “dare di più a chi ha di meno” per ricordare che il diritto all’istruzione per essere tale deve essere garantito a tutti.
Cosa è in questi giorni la famigerata “Didattica a Distanza” se non quello che ha descritto benissimo la maestra Flavia Franco “Un universo di attività derivante dalla volontà di esserci, dallo zelo di far “proseguire” il programma (il FAMIGERATO e FANTOMATICO programma ), di far sentire una affettuosa vicinanza. Un universo che però ha generato non pochi problemi alle famiglie: mancanza di Pc o stampanti adeguati, assenza di connessione, competenze insufficienti, figli in classi o ordini di scuola differenti , difficoltà di gestione delle molte richieste“. In poche parole è tutto ciò che i docenti stanno mettendo in atto ma certamente non è “garantire il diritto all’istruzione”.
Assodato ciò, come si può pretendere che da tale “Didattica a distanza” possa scaturire una valutazione del livello di apprendimento dell’allievo che sia legalmente valida ed universalmente riconosciuta ai fini “di consentire agli studenti di acquisire una preparazione adeguata e corrispondente al livello ritenuto valido in un determinato momento storico, anche perché i titoli di studio hanno un valore legale“.
Non si può lasciare ai singoli docenti, od ancora peggio ad Organi collegiali riuniti in videoconferenza la decisione sulla valutazione di qualcosa che non è “scuola” ed ancora di meno “Didattica a distanza”.
La didattica a distanza è un valido supporto alla didattica in presenza e può aiutare ad ampliare le competenze, le abilità e le conoscenze degli allievi se e solo se è di supporto alle attività in presenza.
I docenti in questo momento stanno praticando una “didattica di emergenza”, parafrasando il famoso Maestro Manzi, “stiamo facendo quel che possiamo, quel che non possiamo non facciamo” e, pertanto la nostra valutazione degli allievi si dovrà necessariamente sintetizzare nel famoso giudizio a timbro “Fa quel che può, quel che non può non fa”. In sintesi, non si può chiedere ai docenti di legittimare ciò che legittimo non è.
Ritengo che non si debba avere alcuna necessità di dimostrare che si sta “facendo qualcosa” tanto per farlo ma partendo dalla consapevolezza che si sta facendo qualcosa di utile e serio perchè il riconoscimento al lavoro svolto in queste settimane drammatiche dalla “comunità educante”, dalle migliaia di docenti, di dirigenti, di ATA ci giunge ogni giorno attraverso i nostri allievi e le loro famiglie.
Pertanto, solo facendo tesoro di tutte le esperienze effettuate in queste settimane, riconoscendo che non si può dare alcun valore istituzionale e legale alla gioia di rivedere e di discutere con i propri allievi, di essere di supporto anche psicologico in una situazione che non è normale, di sollecitare la loro voglia di fare e di apprendere, si potrà continuare a praticare questa “sorta” di didattica a distanza per valorizzare al meglio ogni progresso effettuato da ogni singolo allievo e, soprattutto, riconoscendo che buona parte di essi sono rimasti fuori da ogni percorso per i più svariati motivi.
In conclusione, dovrà essere il Governo ed il Ministero a decidere come si dovrà chiudere questo anno scolastico senza far passare qualcosa per quello che non è e, soprattutto, senza dimostrazioni di forza ed autosufficienza imponendo per decreto soluzioni che non hanno alcun riscontro nella realtà drammatica di questi giorni.
Eugenio Passarelli