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Hollywood, Leonardo da Vinci e la fiction finta

Hollywood ha preso ancora una volta il sopravvento, il fantasioso solletico del pubblico ha avuto la meglio, non già sul rigore scientifico, attorno a cui si sono deposte le armi senza condizioni, ma persino sulla storia stessa, sul personaggio, sul genere e financo sull’ambientazione. Un groviglio insomma onomatopeico che ha il volto e la storia di Leonardo da Vinci, l’Uomo totale a cui guardava Karl Marx, l’uomo completo, l’intellettuale curioso e creatore del proprio destino, conoscitore di tutte le arti e le scienze. 

La fiction sul genio del rinascimento, pubblicizzata come un vero e proprio “evento” dal cast stellare, trasmessa in anteprima mondiale dalla Rai, è una finzione vera e propria su un tizio al quale è stato attribuito il nome di Leonardo da Vinci.

Oltre a farlo apparire una sorta di Nembo Kid che nell’arco di una sola notte, inaspettatamente scopriamo ingegnere meccanico raffinatissimo, riuscendo a mettere in opera tutto un marchingegno complicatissimo per sollevare e quindi poggiare sulla cupola del Duomo di Firenze la sfera-globo del Verrocchio, di 20 tonnellate, subito dopo ce lo ritroviamo anche ingegnere militare e aeronautico, quando decide di andare a Milano alla corte di Ludovico il Moro. 

Un uomo venuto da un altro mondo, insomma, senza una pur breve spiegazione intorno alle radici delle sue conoscenze, mentre la kryptonite, la sola che lo può annichilire, è rappresentata da Caterina da Cremona, tra etera e musa, cortigiana e mammasantissima, sulla cui reale esistenza però esistono tanti dubbi. Ma una donna siffatta è strutturale nelle sceneggiature di Hollywood, un condimento indispensabile. 

Sorvolando sui continui riferimenti alla omosessualità di Leonardo, inutili e spesso anche fastidiosi, com’è nella tradizione hollywoodiana la fiction televisiva macina e pesca nella grande distesa stucchevole e ormai banale del thriller, del poliziesco, del kriminal-film, con una sorta di commissario Montalbano che fa la spola tra il carcere, nel quale mai l’artista in realtà si è ritrovato, e i personaggi coinvolti nel misterioso delitto. Una ricerca del colpevole che questa sorta di tenente Colombo, seppure senza impermeabile, si è imposto come punto d’onore, alla maniera dell’ispettore Javert dei Miserabili.

E poi c’è la schiera dei personaggi che lo circondano, babbioni come lo stesso protagonista, tranne il prode Ludovico, duca di Milano, che però è sempre un altro rispetto a quello storico responsabile, o forse no, di avere aperto le porte dell’Italia a Carlo VIII. 

E c’è pure un uccellaccio, un falco che, sempre nella tradizione hollywoodiana, gli tormenta la ragione, lui rinascimentale Prometeo ma col becco dell’aquila nel fegato per richiamare una ipotetica quanto popolaresca maledizione del genio. Svolazza incubi e pure misteri: ma quali? L’abbandono del fanciullo da parte del padre, antesignano Oliver Twist, ma anche, visto che ci siamo, Moll Flanders.

Gli occhi da cascamorto, mezzo rincoglionito, più che l’uomo nuovo dell’Umanesimo, sembra il Candido ottimista, mentre arruola un bellimbusto ladro e ruffiano per averlo a portata di soddisfazione sessuale; nello stesso tempo si dispera il Nostro per convincere gli allievi e il mondo intero della sua arte che, se non ci fosse quello sparviero tormentoso, inatteso, la sua mente esploderebbe solare.

Una fantastica rappresentazione, una commedia, non dell’arte, ma della confusione che avrebbe potuto tirare meglio, come tutti i polizieschi e i gialli a cui la televisione e certa letteratura ci sta abituando, se al posto del Sommo Leonardo avessero inventato un ragazzo di bottega, apertamente gay, con buone doti artistiche e scientifiche, e che fa fortuna in una Italia in abbrivio verso mondi creativi meravigliosi.

In ogni caso, forse alla produzione e al regista di questo kolossal televisivo dobbiamo dare un merito, quello di non avere fatto di Leonardo il solito detective, lo Sherlock Holmes del Rinascimento in cerca di assassini e puttanieri, traditori e serial killer. 

Infatti, quella che comunemente viene chiamata “cultura” non ha la “Mission” di educare, indicare, segnalare le sue fondamenta per innalzare gli edifici del gusto e del bello, ma quell’altra di seguire, accontentare, soddisfare il palato del pubblico televisivo.  

E infatti, pur di fare audience si mescolano le carte, anche se, nel caso di questo cosiddetto “evento televisivo”, si è così tanto deformato, inventato, architettato che ne è venuto fuori un feuilleton, assi più scadente di un bel romanzo di Liala. Almeno la scrittrice inventava “realmente” i personaggi e non li contrabbandava per reali o del livello di un genio universale, per farne una sorta di Münchhausen venuto dallo spazio profondo.

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Pasquale Almirante

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