Si chiama “home-schooling” o “educazione parentale”. Parlo della decisione di alcuni genitori, a seguito soprattutto della stretta sui vaccini e sul green pass, di gestire in famiglia la formazione dei loro figli.
Sui social c’è chi ingenuamente invita a questa scelta radicale. Perché ingenuamente? Perché, come ci siamo detto a proposito della DaD, la scuola non è solo istruzione, guidata da docenti-maestri, ma, prima ancora, esperienza relazionale. La normativa lo consente, e, sino ad oggi, i casi si potevano, in una scuola, contare sulle dita di una mano. Ma oggi stanno invece crescendo di numero.
Le ragioni possono essere l’accusa, un paio di anni fa, nei confronti della cultura gender, oppure la questione vaccini, oggigiorno al centro di tante polemiche. Al tal punto che mi è capitato di assistere a feroci scontri anche tra genitori, tra chi è favorevole ai vaccini per i figli e chi contrario.
Insomma, oggi c’è chi non si fida più nemmeno delle scuole, ritenute sino ad ora da tutti garanzia di equilibrio e di accoglienza pluralista, e vuole invece fare in proprio. L’unico vincolo decisivo per il cammino formativo degli studenti riguarda le valutazioni, cioè l’obbligo degli esami da privatista.
La socialità, si diceva, il valore relazionale tanto invocato in questo anno e mezzo di didattica a distanza? Problemi secondari.
C’è chi si sente, addirittura, un novello don Milani, che fondò la sua scuola a Barbiana e poi dovette fare i conti con la temibile professoressa della scuola statale, da cui la famosa “lettera”. Altri più semplicemente sono solo in attesa che passi questa “buriana”, e preferiscono bypassare la questione vaccini ad altro momento.
Fatto sta che le cronache oramai non mancano di dare spazio a questi tentativi, per chi se li può permettere, di gestione famigliare della formazione dei figli. Nel triveneto alcuni casi sono stati segnalati in provincia di Bolzano, provincia, come è noto, con le più basse percentuali di persone vaccinate.
Questi genitori sono spesso organizzati in gruppi e assistiti da qualche tutor, che prepara corsi di istruzione ed educazione personalizzata, domestica e comunitaria. Il diritto all’homeschooling, oltre che dagli articoli 14 e 33 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è previsto dal decreto legislativo n. 76, approvato il 15 aprile 2005 dal secondo Governo Berlusconi (Ministro dell’istruzione era Letizia Moratti), che ha sancito definitivamente l’ingresso dell’homeschooling nel sistema scolastico italiano stabilendo, all’articolo 1, comma 4, che «i genitori, o chi ne fa le veci, che intendano provvedere privatamente o direttamente all’istruzione dei propri figli, ai fini dell’esercizio del diritto-dovere, devono dimostrare di averne la capacità tecnica o economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità, che provvede agli opportuni controlli».
Ciò significa che, visto l’obbligo scolastico sino ai 16 anni e l’obbligo formativo sino ai 18, i genitori devono attestare di possedere i mezzi e le competenze necessarie allo svolgimento “in proprio” dell’istruzione obbligatoria; comunicare per iscritto alla scuola di appartenenza la loro decisione di ricorrere all’homeschooling; presentare il proprio figlio agli esami in una scuola statale, previa formale domanda di ammissione agli stessi corredata del programma svolto, se vogliono iscrivere il figlio alla scuola l’anno successivo.
Quante sono in Italia le famiglie che scelgono questa opzione?
Seguendo il dibattito sui social mi pare di avere intuito che dovrebbero essere un migliaio i casi in Italia, e poco più in altri Paesi.
Ma dati ufficiali da noi non ne ho trovati.
Per chiudere, vorrei insistere sui rischi di simili scelte radicali.
Perché, come sempre, conta mettersi dal punto di vista di un bambino o di un ragazzo, senza dare troppo rilievo alle letture ideologiche.
E, come sempre, guardando i bambini e i nostri ragazzi vediamo che le relazioni sono prioritarie rispetto a tutte le altre questioni.
Le famiglie sì sono le prime responsabile dell’educazione dei proprie figli, ma la formazione è oltre e altro dalla stessa educazione, perché li porta ad incontrare la pluralità dei loro mondi, esperienze, anche sofferenze di vita.
Cioè la scuola è davvero palestra di vita, cioè a scuola si impara a vivere.
I danni di queste scelte avventate li vedranno più avanti, se non quasi subito.
Per cui giusto predicare attenzione e prudenza su queste scelte.
Anche le relazioni, cioè, si imparano, e si imparano, con gli anni, molto fuori di casa. Prudenza, dunque.