Homeschooling: “Dello Stato non ci fidiamo”

Negli Usa gli «homeschoolers» sono due milioni, in Italia mille e cinquecento. Harvard, Princeton, Yale a altre 900 università nel mondo accettano iscrizioni di homeschoolers. Negli Stati Uniti è un fenomeno di massa, nell’Ue una novità: ad essere istruiti a casa sono 70 mila minori in Inghilterra, 3mila in Francia, 2 mila in Spagna. 

«Non siamo presuntuosi, formiamo noi stessi per educare loro- garantiscono i genitori che non vogliono affidare i figli né alle scuole dello Stato né a quelle dei privati-. Affrontiamo sfide continue, poi arriviamo a buoni risultati». 

La Stampa ha incontrato in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna bambini e ragazzi che non vanno in classe e che studiano in famiglia. «Viviamo tra Milano e Messina. Mio figlio (11 anni) è appassionato di animali e ha fatto tirocinio in una clinica veterinaria, un corso di apicoltura, volontariato in un centro per la fauna selvatica. Con un progetto multidisciplinare ha vinto un viaggio studio sui lupi in Inghilterra».

«Noi genitori siamo delle guide e in base agli interessi dei figli coinvolgiamo altre persone nella loro istruzione. Dove non arriviamo noi, arrivano gli esperti dei vari settori». 

Sono dunque i genitori, scrive La Stampa, che tracciano liberamente il percorso formativo dai 6 ai 18 anni: alcune famiglie seguono orari giornalieri, utilizzando i testi e programmi scolastici, altre si affidano a un apprendimento più spontaneo. A Ravenna dei genito non hanno affrontato «fughe dovute a brutti voti», bensì hanno «messo in discussione il modo in cui veniva portata avanti la loro istruzione». E «dal 2012 siamo passati da un homeschooling strutturato, con lezioni che seguivano un orario fisso, a un modello più rilassato che si adegua agli interessi dei ragazzi. Ci informiamo e aggiorniamo di continuo».

 

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Quando si parla di homeschooling, precisa La Stampa, bisogna distinguerne tre forme. L’educazione domiciliare da parte di genitori che impartiscono ai figli l’istruzione. Poi le scuole parentali in cui cooperative di famiglie si mettono insieme per educare senza formare scuole paritarie. E infine l’istruzione attraverso il web. «In Italia tutti e tre i casi sono leciti, con una vigilanza delle autorità scolastiche della scuola cui i ragazzi dovrebbero essere iscritti e un esame annuale. In Piemonte, per esempio, la scuola parentale della comunità di Damanhur prepara ragazzi che agli esami annuali riescono bene. Le preoccupazioni semmai riguardano non la qualità dell’apprendimento ma la mancata socializzazione scolastica». 

Molti Paesi sono alla terza generazione di homeschoolers. In Inghilterra, negli Usa e in altre nazioni, accedono ai corsi universitari prima dei loro coetanei scolarizzati. A Milano Mattia e Giada hanno «cambiato stile di vita, riducendo l’orario di lavoro per poter dedicare buona parte della giornata a Viola, Altea e Alma»: non ci piaceva l’idea di star lontano dalle nostre figlie per sei o otto ore e di delegare ad altre persone la loro educazione». Perciò «frequentiamo molto la biblioteca e siamo sempre presenti alle letture e ai laboratori organizzati ogni settimana: le nostre bambine sono diventate appassionate lettrici». Inoltre «creiamo insieme pannelli montessoriani e diamo una mano in un rifugio per cani abbandonati». 

«Non è la scuola a essere un obbligo, ma l’istruzione» e uno studente italiano può svolgere l’intero percorso di studi, fino all’università, senza mai mettere piede in un’aula scolastica. Chi sceglie di educare i figli a casa è sottoposto solo alla legislazione statale, non è quindi soggetto a norme regionali né provinciali.

«Ma a volte negli uffici territoriali le procedure sono complicate. L’homeschooling offre opportunità ottimali per un’istruzione stimolante e in sintonia coi processi naturali di apprendimento,  sostengono due genitori. Per noi significa assumerci in prima persona la responsabilità educativa: la giornata-tipo non esiste, ogni giorno è una scoperta». Far rete è necessario: «Abbiamo creato un gruppo di famiglie che condividono attività, incluse passeggiate nei boschi e gite». 

In Canada «sostengono gli homeschooler e investono in questa modalità educativa, sia offrendo alle famiglie il supporto e la consulenza di una figura istituzionale debitamente preparata, sia elargendo contributi». Mille euro all’anno a ciascun figlio per l’acquisto di materiale finalizzato all’istruzione: «Le biblioteche, i musei, le mostre, i teatri, ma anche le stesse scuole collaborano con i genitori offrendo convenzioni, materiali, appositi progetti e la disponibilità dei docenti». Non è previsto l’esame finale, a meno che non sia richiesto dalla famiglia. Il 7 marzo uscirà in 38 città italiane un documentario «Figli della libertà».

«Non ci sono né voti, né banchi, né adulti che comandano».

Concretezza, continua l’articolo su La Stampa,  al posto di lezioni predefinite. «Matteo ha 8 anni e non ha mai messo piede in un edificio scolastico, neppure all’asilo. Gli lasciamo massima libertà di scelta sull’apprendimento giornaliero e il gioco è sempre alla base delle sue attività». A Natale ha ricevuto un trenino e si è talmente appassionato che si è messo studiare geografia per conoscere tutte le tappe dei percorsi ferroviari». A Matteo «piace creare i lapbook, suo strumento didattico preferito: libriccini fatto a mano, con tante finestre che si aprono e sviluppano un argomento o una nozione specifica».  

Pasquale Almirante

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