Le macchine che ci rubano il lavoro, in realtà in Giappone si stanno rilevando una soluzione vincente per risolvere i problemi occupazionali del Paese.
Il Paese del Sol Levante infatti, punta sui robot al lavoro per affrontare una crisi produttiva derivata dall’invecchiamento della popolazione che provoca un calo costante della manodopera disponibile.
I Giapponesi sono stati i primi a diffondere nel mondo Occidentale l’immaginario collettivo del robot, basti pensare ad Astro Boy, il primo dei tanti robot eroi, o il famoso “Blade Runner” che portò sullo schermo una futuristica Los Angeles in una Tokyo contemporanea dove le automobili erano addirittura in grado di volare sopra strade ovviamente sempre sovraffollate. Ma anche oggi fanno sfoggio di tecnologia per i turisti come ad esempio L’Henna Hotel di Nagasaki dove lo staff dell’albergo è stato rimpiazzato da una folta schiera di robot, o il robottino che celebra i funerali.
Però contrariamente a quella che è una percezione comune, in realtà le aziende giapponesi sono poco automatizzate. La recente crescita dell’economia è dovuta sostanzialmente sia all’aumento del 5,3% annuo della domanda privata delle famiglie che hanno acquistato più automobili e elettrodomestici, ma anche grazie ad una spesa aziendale che è salita addirittura del 9,9%, perché le aziende hanno compensato appunto la mancanza di manovalanza investendo nell’automazione e nell’innovazione .
Cosa c’è in realtà, dietro questa strategia ? In Giappone si preferisce non affidarsi agli immigrati e si punta forte dunque, sull’automazione dei processi con una ipotesi di investimento da parte delle aziende del 17,5% in più rispetto lo scorso anno (fonte Banca Giappone).
Robot, quindi per risolvere la crisi di manodopera in un paese dove ormai il tasso di natalità è tra i più bassi del mondo invece che prendere manodopera da altri Paesi. Basti pensare che negli ultimi anni ci sono state accettate meno di trenta richieste d’asilo a fronte di oltre 10mila richieste provenienti da Nepal, Turchia e Sri Lanka.
Non entriamo nel merito della scelta del Paese Nipponico, di sicuro l’aspetto etico-occupazionale della robotica è un tema che farà discutere gli esperti nei prossimi anni.
Uno studio uscito a luglio 2016 a cura dello ZEW, il Centro europeo per la Ricerca Economica che ha sede a Mannheim in Germania ha analizzato i flussi dell’occupazione basandosi sui dati raccolti in 238 regioni europee tra il 1999 e il 2010 ed è giunto alla conclusione che l’automazione, nel periodo in questione , ha creato un saldo positivo di 11,6 milioni di posti di lavoro, risultanti dalla perdita di 9,6 milioni di lavori “ripetitivi” compensati dalla creazione di 21,2 milioni di posti di lavoro. Si sono persi i lavori ripetitivi, e rutinari che possono essere eseguiti facilmente da robot e algoritmi. Però allo stesso tempo la tecnologia ha creato nuovi posti rendendo le aziende più produttive e competitive.
Molto interessante la conclusione riportata da Oldani: in un articolo sull’Espresso di qualche mese fa: “Chi ha le tecnologie e le competenze probabilmente crescerà, anche con i robot e forse proprio grazie ai robot. Chi invece le svende al miglior offerente, non le tutela, non le considera un bene di importanza strategica ed è destinato a scomparire. La tecnologia tutto cambia e non cambia nulla al tempo stesso, perché alla fine sono sempre gli uomini che decidono come utilizzarla e per quali funzioni.”
E’ importante quindi non aver paura di affrontare la tematica, ma analizzarla, discuterla per far in modo che la tecnologia sia di supporto all’uomo e non un nemico e possa essere applicata in tutti i campi: nell’industria, nella scuola, nella formazione, nella medicina con la giusta interpretazione e moderazione necessaria.
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