Che la società tecnologica ponga esigenze nuove sul versante degli apprendimenti, è del tutto evidente, e non è certo un caso che in tutti i sistemi scolastici europei vi sia in atto un processo di revisione degli spazi, degli impianti curricolari e formativi. Ma non possono passare sotto silenzio le fantasiose proposte ministeriali per stabilire un perimetro tutto nuovo della didattica.
L’educazione è la nuova frontiera della cultura e della civiltà e non può lasciarsi invischiare in inutili e costose scelte per l’acquisto di banchi monoposto di ultima generazione, utili solo per specifiche attività in determinati istituti scolastici, oppure, in interminabili discussioni intorno alla organizzazione interna degli spazi educativi, che servono solo per mascherare inefficienze e inadempienze di chi dovrebbe orientare l’attenzione verso i problemi reali della scuola, di chi desidera il nuovo soltanto perché nuovo, indipendentemente da ciò che esso porta con sé.
Occorre ritrovare il coraggio di investire le migliori risorse per dare rilievo e centralità alla scuola e al suo compito educativo.
Nel nostro Paese da decenni si fa leva sullo spirito missionario di migliaia di docenti. C’è bisogno, invece, di un di più di conoscenza, c’è bisogno di investire di più in termini di professionalità, adeguatamente valorizzate, di apprendimento, c’è bisogno di una nuova stagione culturale nella quale la parola educazione richiami ad un sapere pedagogico scientificamente valutato e controllato.
Quando si perde il senso dell’identità, quando indistintamente e pilatescamente si amplia lo spazio di autonomia degli Istituti, quando si confida nell’estemporaneità delle cose, senza elevarle nel regno dei significati e dei valori, allora anche la realtà perde peso e spessore e diventa più facile smarrire il senso del reale.
Capita così, come sta accadendo in questi giorni, che nel momento del trionfo degli annunci e dell’informazione, si celebri il trionfo dell’ambivalenza e della contraddizione.
Sbaglia in Italia chi, per ovviare agli inconvenienti contingenti, ripropone la Dad, la rimodulazione dell’orario scolastico o altre novità. Quel che conta è la necessità attivare l’esperienza educativa in presenza per restituire fiducia, motivazione e speranza alle nuove generazioni.
Molte scuole, quotidianamente, si interrogano sull’efficacia delle mode del presente e sulle sfide che si frappongono alla realizzazione di un futuro che non appare roseo ed hanno già programmato, per l’inizio del nuovo anno scolastico, l’alternanza di una didattica in presenza e a distanza, con tutte le difficoltà e problematiche che essa comporta in termini di apprendimento e di relazione con l’altro.
Occorre reagire e resistere al rumore della provvisorietà. La scuola non può più essere il campo della simulazione immaginifica, ma deve conquistare una sua forza specifica.
Giova allora domandarsi in che modo ci si possa riappropriare della normale relazione educativa. Non certamente all’interno di una parola che non si apre all’ascolto.
Provocatoriamente, poiché i banchi singoli tradizionali misurano 50-60 cm., sistemandoli in modo che i ragazzi stiano uno di fronte all’altro, si potrebbero mantenere le distanze di sicurezza, 100-120 cm., avviare una didattica collaborativa a due e lavorare mediamente in sicurezza con classi di 20-22 alunni. Ovviamente, è una provocazione. Un confronto serio con i docenti potrebbe rendere percorribili diverse strade.
Fernando Mazzeo
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