Mentre nelle altre scuola d’Italia i bambini disegnano e raccontano l’autunno o la quotidianità del loro territorio, a Lampedusa, terra di approdo di disgraziati in cerca di fortuna e di una speranza, nelle scuole il soggetto è la morte e il naufragio, la tragedia e le barche in fiamme.
Nelle scene realizzate da bambini di 6 o 10 anni c’è la barca carica di somali ed eritrei con le fiamme sul ponte, le bare con le vittime disposte nell’hangar blu, il mare da cui spuntano le braccia di chi chiede aiuto.
Oscar, 11 anni, che frequenta la quinta elementare, racconta l’Ansa, ha disegnato nuvole che ”piangono lacrime di sangue” e il sole ha la faccia gialla triste perché – dice il bambino – ”qui da noi a Lampedusa il sole normalmente è sempre contento”.
Diego, 9 anni, ha scritto sul suo quadernone: ”Dobbiamo amare loro come se fossero nostri fratelli e dobbiamo evitare che possano succedere simili catastrofi”. Dice la dirigente scolastica dell’istituto omnicomprensivo Rosanna Genco, 58 anni, che ha costretto il marito in pensione a trasferirsi sull’isola di cui si è innamorata: ”L’immigrazione è il filo rosso che lega tutte le nostre attività didattiche. I bambini convivono con gli sbarchi.
Sono preparati all’accoglienza, alla solidarietà, sono aperti mentalmente. Come potrebbe essere diversamente quando vedono le loro madri che si tolgono le scarpe e le danno alle donne africane che arrivano coi barconi e che camminano a piedi scalzi?”
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