Eraldo Affinati, maestro e scrittore, fondatore della scuola Penny Wirton, sulla Stampa, scrive della sua esperienza coi bambini in fuga dalla guerra.
“Se Aziz”, scrive Affinati, “fosse rimasto in Afghanistan, dopo aver perso i genitori sotto le bombe, per lui sarebbe stato impossibile sottrarsi al reclutamento dei talebani; se Abdel non avesse lasciato le campagne sul Delta del Nilo, il suo destino sarebbe stato quello di continuare a vivere accanto ai pozzi, fra pecore e galline”.
Se “domandi a Moustafà, analfabeta nella lingua madre, cosa ne pensa dei kamikaze, vedi che la sua faccia di scalcinato frugoletto si trasforma d’incanto nel volto consapevole di un vecchio saggio”.
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“Il lavoro che si fa a scuola diventa l’avanguardia dell’opera umana da compiere, il laboratorio antropologico della nuova Europa, il campo della vera battaglia da vincere. Nel momento in cui Mamudu, spericolato riassunto di uomo fatto, capace di attraversare il deserto del Sahara agganciato al perno di un camion, regala a Ivana, la volontaria che gli ha spiegato la differenza fra singolare e plurale, una mela scovata nella frutteria di qualche amico bengalese, avviene una specie di miracolo: è come se le acque uscite dagli argini, dopo aver distrutto le piantagioni alluvionate, rientrassero nel letto del fiume; come se la lava incandescente del vulcano piombata sulle abitazioni tornasse nelle viscere da cui è scaturita. Nella nostra attività didattica, nata dal sogno di un’altra scuola, non ci sono né classi, né voti, né burocrazie. Crediamo nell’azione a fondo perduto, a prescindere dal riscontro diretto che ne potremmo ricavare.
Mohamed ed Elsayed, che erano stati così difficili da tenere fermi dietro ai banchi, l’hanno capito, altrimenti non sarebbero tornati a salutare le loro maestre a distanza di un anno: ne avevano avute tante, ma è come se ne avessero conosciuta una soltanto. Hanno imparato l’italiano? Sì e no. Ma questi frenetici lazarilli di terzo millennio, prima ancora che per ricopiare gli esercizi sul quaderno, venivano alla Penny Wirton con il desiderio di stare insieme a noi. Sappiamo che la natura umana possiede una congenita malvagità di cui certo dovremmo contrastare in ogni modo la perniciosa origine e le nefaste conseguenze, ma se non avessimo ugualmente chiara la fiducia nella possibilità di volgere gli istinti più bestiali della specie cui apparteniamo in una nuova prospettiva vitale non troveremmo nemmeno la forza per metterci accanto ai nostri studenti; resteremmo chiusi dentro casa, blindati come accaduto nei giorni successivi agli attentati”.
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