“Ho preso 46 su 50 al test. Sono passata, ma sono delusa dalla preselezione. Non permette di selezionare chi ha una reale aspirazione, di differenziarlo da chi ci prova e basta. Le mie domande di italiano erano banali, matematica e lingue più complesse. In tanti sono venuti a tentare. Li capisco, oggi c’è fame di lavoro. Ma che docenti saranno?”.
E un’altra aspirante, promossa anche lei con 35 su 50, e anche mamma, dice: “E una mamma solo se ha un contratto statale può badare ai figli, fare orari umani. Per questo ho partecipato. Credo comunque anche nel valore sociale di questa professione. I test non sono davvero indicativi della preparazione. Sfoltiscono e basta. Almeno si poteva mettere qualche domanda sull’area di insegnamento scelta”.
Una disoccupate, in cerca di lavoro, si giustifica: “Mi sono iscritta al concorso perchè in cerca di un lavoro. Mi piacerebbe insegnare alle elementari. Possibilmente italiano, ho fatto il classico. I test? Non sono molto utili per scegliere buoni insegnanti. Oggi io festeggio. Ma mi domando se dovessi passare anche le prove successive se ci sarà un training per me prima di entrare in cattedra. Chi mi dirà cosa devo insegnare?”.
“Se vincerò”, dice un trentenne, “penso che sarò in grado di insegnare. Con i miei titoli posso fare storia dell’arte o disegno. Immagino che nelle fasi successive del concorso si entrerà nel vivo della materia. Anche per quanto riguarda i programmi”.
Disincantato qualche bocciato: “E’ andata e vabbene così! Almeno resto in graduatoria”.
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