I lettori ci scrivono

I cellulari dentro le scatole

Di telefoni cellulari dentro le scatole ne abbiamo le scatole piene… mancavano solo i cassetti chiusi a chiave.

Dopo anni di sfrenato e indiscriminato (nel senso di insensato e privo di discernimento) uso dei cellulari a scuola non poteva che partire da Bologna (regione all’avanguardia in cui ho vissuto e insegnato per un decennio) la recentissima crociata in favore di un ritorno alle origini, ovvero ai tempi in cui per relazionarsi con gli altri occorreva stare rigorosamente di fronte e a sufficiente distanza per poter cogliere, se non altro, il labiale dell’interlocutore.

Sono anni (circa cinque) che porto avanti la mia personale e solitaria battaglia (al pari d’un novello Don Chisciotte che si batte testardo contro un malinteso, imperante, concetto di modernità) nel profondo sud nel quale sono ripiombato dopo aver deciso di far ritorno nell’avita terra dei miei antenati. E in questo lungo lasso di tempo gli studenti delle mie nuove classi, il primo giorno di scuola, oltre a sentirsi sciorinare gli argomenti e le attività che ho in animo di svolgere durante l’intero anno scolastico, hanno dovuto sorbirsi anche le mie lunghissime dissertazioni sulla profonda scorrettezza di usare i telefoni cellulari, in ambito scolastico, sia da parte dei giovani ma anche, ahinoi, per abitudine invalsa e inveterata dei loro insegnanti, così bravi a dare il cattivo esempio.

Ho sempre cercato di far ragionare i miei studenti sul fatto che pur essendo, lo smartphone, uno strumento utilissimo e indispensabile, oggigiorno, per le più svariate ragioni, sia, altresì e innegabilmente, il più potente distrattore che la storia abbia mai conosciuto fino ad ora. Ho sempre usato il mio telefono cellulare il tempo strettamente necessario per fare l’appello e per compilare il registro elettronico, per poi riporlo nella tasca della mia valigetta, non prima di aver inserito il silenziatore. E lì rimane fino alla fine della mia giornata lavorativa, essendo, comunque, sempre raggiungibile, in caso di necessità, al telefono fisso del centralino della scuola.

Gli studenti, invece, per abitudine, usano poggiare sul minuscolo banco monoposto a loro disposizione (a mo’ di talismano) il proprio telefono cellulare e restano sempre in vigile allerta ove, e semmai, l’evoluto apparecchio tecnologico dovesse avere un fremito, un impercettibile sussulto, chiaro segno di una notifica in arrivo. Per scherzare, dico spesso che se non avessero quell’amuleto tranquillizzante ben visibile sul tavolino, probabilmente, si sentirebbero mancare il pavimento sotto i piedi (sensazione, di sicuro, terrificante) tale è il livello di dipendenza che hanno sviluppato e tale è la “gabbia” nella quale sono entrati a causa della loro spasmodica necessità di restare iperconnessi SEMPRE.

Molto spesso gli dico con tono provocatorio: “se è quello che desideri, stai pur incollato al tuo smartphone per 18 ore al giorno (quelle in cui non sei a scuola), ma per sei ore (quelle in cui sei sottratto a qualsiasi altra incombenza per poter attendere alla tua formazione culturale e alla tua crescita emotiva e psicologica) puoi fare a meno di usarlo? Possiamo (e, a questo punto, mi inserisco nel novero) disintossicarci per un lasso di tempo equivalente ad un quarto della durata di una giornata? Possiamo fare a meno di questo ausilio, di questa protesi, come se non fosse mai stato inventato?” A quel punto (penso proprio a malincuore) tutti ripongono i loro telefonini nello zaino, ma so bene che questo “miracolo” durerà, al massimo, fino al suono della successiva campanella.

Non manco di ricordagli che ogni istituzione scolastica ha, all’interno del suo regolamento, un punto che concerne, specificamente, il divieto dell’uso dei cellulari a scuola (a meno che non sia espressamente richiesto dal docente per effettuare una ricerca o una qualsiasi attività didattica); dico loro che esiste pure un divieto superiore emanato direttamente dal Ministero dell’Istruzione (che, con la Circolare Ministeriale N° 30/2007, ha stabilito il divieto dell’uso dei telefoni cellulari a scuola, in particolare durante le ore di lezione) e dico pure che ci sono delle sentenze della Cassazione che hanno confermato il licenziamento di docenti che, usando per fini personali e privati il telefonino in classe, hanno interrotto un pubblico servizio, per il quale sono pagati, a danno della comunità, non solo scolastica.

In questi ultimi giorni (tutti i TG nazionali ne hanno dato contezza) dalle scatole di cartone che si usavano un tempo siamo passati ai cassetti blindati, con tanto di chiavi e lucchetti, per riporre non solo i telefoni cellulari degli studenti, ma anche quelli degli indisciplinati insegnanti, poco avvezzi (loro in primis) a rispettare le leggi e i regolamenti.

Dovesse capitarmi in sorte un Dirigente scolastico con tali assurde pretese, mi opporrei strenuamente. Ma stiamo scherzando? Ma davvero si pensa di poter sottrarre (è più corretto dire sequestrare?!) a chicchessia, adulto o minore, poco importa, per un lasso di tempo di sei ore un oggetto personale che ognuno deve essere libero di detenere tra le proprie cose (alla stregua di un’agenda o di un ombrello) purché non ne faccia uso, visto che questo, e solo questo, è il divieto? Non è vietato possedere e recare con sé un telefono cellulare, ma, semmai, usarlo a scuola a scopi personali.

In verità la faccenda è molto semplice e non servono né scatole di cartone né cassetti di legno o di metallo di sorta: i docenti non devono usare i telefoni cellulari a scuola, per meri motivi personali, pena il licenziamento in tronco (siano i Dirigenti scolastici a controllare che il divieto sia rispettato da tutti gli adulti) perché, se lo usano durante le ore di lezione, si configurano quali pubblici ufficiali che interrompono un servizio senza giustificazione alcuna e, pertanto, vanno puniti severamente. Il docente che dovesse trasgredire più volte il divieto, e prima della definitiva risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa, potrà essere sanzionato sospendendolo dall’attività e privandolo dello stipendio per un periodo adeguato. Le lezioni non vanno interrotte, a maggior ragioni per motivi futili o di natura personale, per rispondere o per fare chiamate dal proprio telefono cellulare. Punto! Qualsiasi deroga sarebbe deleteria.

Per quel che riguarda gli studenti, poi, esistono le note disciplinari che sanzionano gli atteggiamenti scorretti tenuti tra le mura scolastiche. E visto che è espressamente, e su più fronti normativi, vietato l’uso improprio di apparecchiature elettroniche connesse alla rete internet e a quella telefonica, nei regolamenti interni si precisi che dopo il primo richiamo verbale scatta la nota sul registro elettronico e che dopo un numero congruo di note (cinque?! sei?!) ne consegue una sospensione e che dopo un numero consistente di tali sospensioni (magari due?! O tre?!) il voto di condotta diventa insufficiente recando con sé l’automatica bocciatura.

Questa è la soluzione all’annoso problema che avanza un umile docente del profondo sud il quale, per cinque lunghi anni è stato additato da studenti e colleghi quale retrogrado fondamentalista antitecnologico quando invece, e semmai, risulta essere stato un precursore perfino rispetto all’evoluta e avanguardista Emilia Romagna.

Basta il rispetto delle leggi e delle regole da parte di tutti. Basta punire i trasgressori, adulti e minori, in modo equo ma congruo. Questo dovrebbe essere sufficiente in un paese evoluto e civile che si rispetti.

Altro che scatole di cartone, altro che cassetti blindati, siamo seri, per favore…

Ivano Marescalco

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