Sono dovuti trascorrere più di 30 anni prima che sulla scena mondiale ricomparisse, dopo il 1968, un grande movimento di radicale contestazione dell’esistente e anche con una visione generale del mondo decisamente più matura di allora, più complessa ed “esperta”. Il movimento che esplose nel luglio 2001 a Genova contro il G8 aveva alle spalle lo spettacolare successo del primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre (in Brasile a gennaio, con i suoi 70 mila partecipanti) che segnò la nascita di una grande coalizione contro la globalizzazione liberista, il cosiddetto movimento no-global (o altermondialista).
Come per tutti i movimenti di grande diffusione, è sempre difficile individuarne una genesi precisa, agendo quasi sempre varie concause. Però, direi che l’impulso più potente per l’avvio del movimento può essere derivato dal salto di quantità e di qualità nel processo di mercificazione globale indotto da un liberismo che, nello sforzo planetario di mettere in campo nuove merci, vi stava trascinando anche settori e territori fino ad allora estranei al dominio del profitto privato e del mondo-merce, come i servizi pubblici, l’istruzione, la sanità, i trasporti; e nel contempo, la natura intera, l’acqua, la vegetazione, le sementi e qualsiasi potenziale fonte energetica. Tale uragano sociale ed economico ha spinto nell’opposizione al sistema dominante anche ceti, strutture sociali ed individui che si sono trovati di punto in bianco nel vortice onnivoro della mercificazione, dai milioni di contadini spossessati del diritto d’uso delle sementi o con i campi invasi da colture Ogm, a popolazioni derubate dell’acqua, divenuta una fonte di profitto per voraci multinazionali, fino ai lavoratori/trici dei servizi pubblici, impauriti dal tentativo di trasformare persino l’istruzione e la sanità in fonti di profitto.
Però, ha pesato molto anche il dilagare, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, della guerra globale, che ha spinto alla protesta intere popolazioni (il punto più alto no global fu la mobilitazione mondiale del 15 febbraio 2003 – senza precedenti nella storia umana – quando, su impulso del movimento italiano, scesero in piazza quasi 100 milioni di persone per fermare la guerra in Iraq); nonché l’intera gamma dei conflitti ambientali, divenuti da allora tema cruciale; e poi i conflitti di genere, acutizzati dal peggioramento delle condizioni delle donne nei paesi più poveri; e i conflitti del lavoro salariato, precarizzato come mai prima nel mondo occidentale, nonché l’attacco alla sovranità alimentare e la spoliazione di milioni di contadini.
Ma di fronte a questo arcobaleno di conflitti, ciò che ha reso quel movimento, almeno in Italia, superiore ad esempio a quello del ’68, è stata in primo luogo una ben più profonda conoscenza della società, dell’economia e della produzione; e in seconda battuta, le modalità della vita interna, quelle regole del gioco che permisero i successi e la durata di una coalizione così vasta e complessa. Negli anni precedenti, come COBAS avevamo tentato a più riprese di avviare alleanze che superassero il vizio storico di dare la massima centralità al proprio conflitto e al proprio tema identitario, con la conseguente incapacità di coalizzarsi senza imporre gerarchie: ma sempre con scarso successo.
Finalmente nel movimento no-global si affermava l’idea che, nel conflitto con il liberismo, fosse sbagliato imporre un tema come quello dominante e capace di inglobare tutti gli altri: ma che invece, come in un caleidoscopio, tutte le facce conflittuali dovessero convivere ed armonizzarsi. Conseguentemente, l’altermondialismo, almeno dal 2001 al 2004, è riuscito a dare spazio ad ogni tema rilevante e ad ogni componente, introducendo anche il principio delle decisioni prese non a maggioranza semplice ma con larghissimo consenso, al limite dell’unanimità. In questo percorso, Genova 2001 non è stato il punto più alto del movimento italiano, toccato invece sia con il Forum Europeo a Firenze nel novembre 2002, con almeno 500 mila persone coinvolte, e ancor più nella già citata giornata mondiale del 15 febbraio 2003 per impedire la guerra in Iraq.
Purtroppo, la parabola discendente e poi la disgregazione del movimento arrivarono in coincidenza con il ritorno al suo interno della politica istituzionale, manifestatasi con la scelta di varie forze dell’altermondialismo di giungere al governo con il centrosinistra utilizzando i successi e la forza del movimento. Ancora una volta si dimostrò l’incapacità dei movimenti sociali italiani di uscire dalla contrapposizione movimenti – istituzioni: problema sul quale le iniziative imminenti (dal 19 al 21 luglio prossimo) per il Ventennale dell’anti-G8 genovese potrebbero offrire una approfondita discussione e indicazioni per l’oggi e per l’immediato domani. In tal senso, la Società della Cura, coalizione della quale i COBAS fanno parte e che include molti/e dei protagonisti/e di Genova 2001, sta animando una Rete che, tramite un’Assemblea nazionale e una internazionale tra il 19 e il 21 luglio, rifletterà sul movimento no global con l’intento di cercare di ri-avviare un’ampia alleanza sociale da mettere in campo fin dall’autunno prossimo.
Provando anche a delineare un futuro alternativo a quello che altrimenti ci si prepara da parte di tutti quei poteri che vorrebbero uscire dalla pandemia, e dai disastri economici collegati, riproponendo pari pari il vecchio e inaccettabile mondo di ieri.
Piero Bernocchi portavoce nazionale COBAS – Confederazione dei comitati di base
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