“Quando un bambino va a scuola, è come se fosse portato nel bosco, lontano da casa. Ci sono bambini che si riempiono le tasche di sassolini bianchi, e li buttano per terra, in modo da saper ritrovare la strada di casa anche di notte, alla luce della luna. Ma ci sono bambini che non riescono a fare provvista di sassolini, e lasciano delle briciole di pane secco, come traccia per tornare a casa. È una traccia molto fragile e bastano le formiche a cancellarla. I bambini si perdono nel bosco e non sanno più tornare a casa”.
Così descrive la scuola Andrea Canevaro nel suo bellissimo libro “I bambini che si perdono nel bosco. Identità e linguaggi nell’infanzia”. Un bosco minaccioso, che fa paura, in cui i bambini entrano e si perdono perché lo percepiscono estraneo, ostile. Ma quando questo bambino si ammala e viene portato in ospedale scopre che c’è anche un posto ancora più inquietante, più pericoloso: un reparto di degenza ospedaliera. Il bosco (la scuola) è diventato una foresta buia e minacciosa perché, parafrasando la bella metafora di Canevaro, non hanno il tempo di“… fare provviste né di sassolini né di briciole”. Vengono accolti dai pianti e dalle grida di altri bambini a cui i medici hanno dovuto applicare degli aghi (nelle mani o nel braccio) per poter somministrare terapie utili per la loro guarigione; vengono accolti da altri bambini che li guardano e, indicando l’ago, gli dicono: “mi hanno fatto male”; vengono accolti dalle lacrime delle madri che accompagnano i propri figli, spesso piccolissimi, in questo viaggio del dolore e della speranza.
Questa è realtà in cui opera la scuola in ospedale, una realtà fatta di grandi difficoltà e di grande impegno. Una realtà che rappresenta, per i giovani degenti, una guida, un “filo d’Arianna” che serve per mantenere un contatto con l’esterno, con la scuola, con gli amici, con ciò che chiamiamo normalità. L’introduzione della scuola in ospedale risale agli anni Cinquanta del Novecento. Diversi reparti pediatrici istituirono le prime sezioni scolastiche con lo scopo di “aiutare” i piccoli degenti a superare le difficolta che il rientro nella scuola territoriale avrebbe inevitabilmente provocato a causa dei lunghi periodi di ricovero. I primi furono gli insegnanti della scuola primaria e in seguito il servizio fu ampliato anche alla scuola materna, media e superiore. Oggi la scuola in ospedale rappresenta un presidio importante non solo per il sistema nazionale di educazione ma anche per il settore sanitario che può offrire al pubblico tale servizio prezioso. Ma soprattutto garantisce ai giovani degenti/studenti il rispetto di un sacrosanto diritto: quello dell’istruzione, quello di non veder compromesso un intero anno scolastico a causa della malattia, quello di non dover affrontare impegnativi recuperi scolastici post-ricovero. A fianco delle sezioni ospedaliere esiste anche un altro tipo d’istruzione, ugualmente importante: quella domiciliare, destinata a tutti i discenti che proseguono le terapie mediche a casa e che non possono frequentare regolarmente la scuola.
Le conoscenze acquisite in questi anni hanno portato la scuola in ospedale ad approfondire esperienze didattiche uniche perché destinate ad alunni in particolari condizioni psicofisiche ed ha forgiato modelli educativi all’avanguardia, basati sulle capacità relazionali dei singoli docenti. Ovviamente non mancano i problemi: organico, formazione dei docenti, spazi all’interno dei reparti, per citarne solo alcuni, rendono il lavoro in corsia molto difficile. E i docenti che operano nelle corsie pediatriche non devono dimenticare mai che lavorano in ospedale e che l’intervento medico è prevalente rispetto a quello didattico. Ma nonostante questo e nonostante le continue interruzioni, i docenti svolgono, e devono cercare di esserne sempre all’altezza, un lavoro prezioso: rendere meno gravoso il “soggiorno” in ospedale dei piccoli pazienti e ridare loro un momento di normalità e serenità.
Domenico Damiani – Esecutivo COBAS Scuola di Roma e provincia
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