Negli ultimi decenni molto si discute della permissività dei genitori nei confronti dei loro figli, della svogliatezza delle nuove generazioni, della loro scostumatezza e della loro incapacità di eguagliare i padri. Diciamo subito che questo tema è un classico sia delle storie che delle letterature antiche e moderne. Nella nostra cultura il divario/diverbio tra la vecchia e la nuova generazione, tra i giovani ed i vecchi rappresenta un vero e proprio topos.
Tale considerazione potrebbe perciò bastare a spigare le sempre ritornanti polemiche sullo stato delle nostre scuole, sul fatto che “alla fine si promuovono tutti”, sulla decadenza degli studi, l’analfabetismo ritornante, la fragilità e l’ostilità delle famiglie nei confronti dei docenti, sul “gravame dei compiti a casa”, sull’inclusività, le competenze, l’arretratezza e decadenza del nostro sistema scolastico pubblico.
Esse si iscriverebbero, infatti, in un dibattito classico, sempre ritornante. In realtà, per quanto ciò sia vero, è altrettanto vero che in Italia la scuola pubblica è stata ridotta a semplice, disadorno asilo con alcune patinate velleità. Se è vero che le famiglie non sono più quelle di una volta, forse oggi più benestanti, ma meno solide e sempre più indaffarate, se è vero che i giovani nell’inseguire i loro modelli adulti appaiono meno impegnati nei venerandi valori della tradizione, è altrettanto vero che oggi proprio la scuola, costruita da questi adulti per i loro figli, ha smesso – per quanto in giro si vada sostenendo il contrario – di promuovere.
Oggi, infatti, essa si è tramutata in un semplice ente certificatore in concorrenza con altri privati o pubblici enti certificatori. All’apparenza sembrerebbe che sia divenuta maggiormente indulgente e più inclusiva, in realtà ha smesso di insegnare anche quel poco che sapeva insegnare per intrattenere e certificare. Gli odierni curricula somigliano sempre più a lunghe elencazioni di titoli di una nobiltà oramai decaduta, raccattati un po’ ovunque, acquistati a malo prezzo per scavalcare e raccomandarsi le migliori posizioni in graduatoria. P
ertanto, quando nasce un nuovo e sincero talento è solo perché, oggi come ieri, è riuscito a sottrarsi al ciarpame didattico odierno il quale spesso crede di poter nascondere la propria chiara inadeguatezza con espressioni mutuate dalla lingua inglese come se fossero scoperte sensazionali. A tal proposito basta prendere ad esempio l’entusiasmo suscitato ultimamente dal termine debate (dibattito). Per spiegare questo nuovo ritrovato della didattica odierna si organizzano persino corsi di formazione, mentre in realtà esso è un modo di fare lezione conosciuto sin dal basso medioevo nelle nostre università e scuole.
Per chiarire ulteriormente quanto solo apparentemente sia inclusiva la nostra scuola e quanto radicalmente bocci le competenze ed i possibili talenti dei suoi allievi è sufficiente prendere ad esempio la media delle nostre scuole elementari dove ogni mattina i bambini si recano portando in spalla un fardello, quasi carico quanto quello del milite sui fronti della Prima guerra mondiale.
Mandato in pensione il vecchio sussidiario con il suo mai poco rimpianto maestro unico, archiviata la mai partorita rivoluzione digitale, sembrerebbe si sia optato per una schiera di libelli e maestre a bella mostra – è il caso di dire – che la mente del povero neonato difficilmente, seppure geniale ed elastica, riesce a gestire nelle cinque o sei ore in classe del mattino, mentre subito dopo, nel pomeriggio a casa, sempre la stessa, dovrebbe completare la formazione giornaliera con i mai tanto bestemmiati e vituperati compiti a casa. Tutti sembrerebbero aver diritto alla disconnessione tranne che il povero bambino, il quale sballottolato a destra e a manca, dai nonni o con la tata, a lavoro con la mamma o con il papà, al catechismo o in uno dei tanti agoni sportivi pomeridiani, si candida ad essere così presto il più malpagato e disconosciuto dei lavoratori!
Colpa non è delle maestre che si sbracciano e si sgolano negli infantili pollai, né dei dirigenti che avanzano risorse dai Comuni e dalle Province, né dei genitori che trottano nei turbini delle crisi continue, economiche e non solo, né dei Ministri che si succedono. Diciamo che – come si amava ripetere una volta – la colpa è del sistema! Intanto a soffrire, ad essere promossi, ma bocciati, sono proprio i più fragili: i bambini che al pomeriggio non hanno nessuno a cui ricorrere per i loro compiti, quelli dei genitori poco istruiti, dei genitori appena immigrati, quelli dei genitori divorziati, quelli che non possono permettersi il doposcuola.
La colpa è quindi di tutti e di nessuno – come spesso accade – ma Don Milani aveva un sogno e la sua scuola poteva essere anche il nostro sogno e l’esempio a cui avremmo dovuto guardare ed ispirarci per non essere costretti a volare oltralpe alla ricerca di novità sensazionali. La nostra Finlandia era ed è a Barbiana.
Carlo Schiattarella
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