Maurizio Parodi, ex dirigente scolastico genovese diventato noto anche per la sua “battaglia” finalizzata alla eliminazione dei compiti a casa, ci ha inviato questo lettera aperta al ministro Valditara che volentieri pubblichiamo.
Egregio Ministro Prof. Giuseppe Valditara,
scrivo per segnalare l’impegno del movimento Basta compiti! nell’omonima campagna che ha raccolto oltre 38 mila adesioni, auspicando la disponibilità dei docenti, dei dirigenti e degli organi di gestione della scuola a valutare i contenuti della proposta, senza pregiudizio, guardando al benessere e alla crescita culturale dei giovani loro affidati.
Come si evince dal Manifesto allegato, la proposta di eliminare i compiti a casa, ampiamente e rigorosamente suffragata dalla ricchissima documentazione raccolta nel sito: www.bastacompiti.it e circostanziata nel saggio: «Basta compiti! Non è così che si impara» (Sonda), si rivolge al primo ciclo di istruzione.
È appena il caso di precisare che una “riforma” in tal senso non comporterebbe onere economico alcuno e permetterebbe di ridurre la distanza che ci separa drammaticamente da altri Paesi, non solo europei, nei quali alla ridotta assegnazione (o alla totale assenza) di compiti a casa corrisponde l’acquisizione di competenze incomparabili rispetto agli “standard” del nostro sistema scolastico – per non dire dei tassi di analfabetismo funzionale, dispersione e insuccesso delle fasce più deboli.
Non è mia intenzione, ovviamente, invocare disposizioni prescrittive che non competono al Ministero, ma mi permetto di sollecitare l’apertura di un dibattito ampio e approfondito, e un Suo intervento acché le scuole (dirigenti scolastici, consigli di istituto, collegi dei docenti…) provvedano quanto meno a regolamentare l’assegnazione dei compiti a casa, laddove si ritenga necessario ricorrere a una pratica abbandonata da tempo, per manifesta inadeguatezza didattica, in scuole di eccellenza internazionale; iniziativa tanto più urgente considerata la mole soverchiante di lavoro imposto, fin dai primi anni di scuola, agli studenti italiani e alle loro famiglie (che non ha eguali in Europa) – basti ricordare che si danno compiti a casa persino ai bambini (6-11 anni) che frequentano le scuole a tempo pieno: dopo 8 ore di immobilità forzata in aule più o meno confortevoli e sovraffollate, non è infrequente che si assegnino compiti tutti i
giorni, nei week end e durante le vacanze.
Va detto, al riguardo, che i docenti operano in una situazione di reciproca ignoranza: non si curano di sapere quanto gravoso sia il carico di lavoro complessivo; ciascuno assegna i propri compiti come fossero i soli da svolgere, e gli studenti, fin dalla primaria, si ritrovano a trascorrere giornate intere, fino a tarda sera chini su libri e quaderni, con genitori costretti a svolgere il ruolo, improprio, di insegnanti di complemento, aggravando la condizione di chi provenga da famiglie culturalmente e/o economicamente svantaggiate.
Un siffatto intervento rientrerebbe nelle prerogative del Parlamento e del Governo, non sarebbe in contrasto con la “libertà di insegnamento” del singolo docente, con l’autonomia delle scuole e neppure con le attribuzioni dei dirigenti scolastici, e risulterebbe ampiamente legittimato dalla necessità di garantire allo studente il “diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età…” sancito dall’art. 31 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata dallo Stato italiano il 27 maggio 1991, con legge n.176, ma ampiamente disatteso.
È appena il caso di evidenziare come questa intollerabile violazione sia causa di malessere diffusissimo, anche molto grave, soprattutto tra gli studenti più fragili e bisognosi di “cura” che maturano, in tal modo insofferenza e rigetto nei confronti della scuola, dello studio, della cultura.
Sappiamo quanto sia deleterio il mal di scuola anche quando non si esprima in gesti estremi.
A titolo di presentazione, indico le mie pubblicazioni più recenti:
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