I timori che in queste settimane molti esprimono sulla possibile trasformazione in senso “clientelare” della scuola sono assolutamente compensibili.
D’altra parte in un Paese come il nostro, dove clientelismo e corruzione hanno una importante e consolidata tradizione è del tutto normale che si diffondano preoccupazioni del genere.
Ma, con altrettanta chiarezza, bisogna anche sottolineare un paio di questioni importanti.
Le pratiche clientelari non sono solo un fatto di malcostume e neppure segnale di scarsa “moraità”.
Il pubblico dipendente (e a maggior ragione il dirgente pubblico) che mette in atto comportamenti clientelari sconfina pienamente nel codice penale e – a seconda dei casi – può commettere uno o più reati specifici di chi riveste una funzione pubblica (interesse privato, abuso di potere, e così via).
Ipotesi che – secondo noi – dovrebbero rappresentare un significativo deterrente.
C’è poi chi sostiene che già adesso ci sono comportamenti illegittimi e clientelari da parte dei dirigenti scolastici e che le nuove regole non farebbe altro che incrementare tali pratiche.
Può anche darsi, ma allora bisognerebbe anche chiedersi per quale motivo tali pratiche vengano accettate e tollerate.
E’ bene non dimenticare che i docenti, per il ruolo che rivestono, sono anch’essi tenuti a segnalare alla autorità giudiziaria fatti di cui vengono a conoscenza che possono avere rilevanza penale.
Mettere in atto un comportamento clientelare può configurare un reato, ma anche fare finta di nulla e non segnalarlo all’autorità giudiziaria può configurare una qualche forma di responsabilità.
Per eliminare corruzione e clientelismo, insomma, è necessario che chi è a conoscenza di fatti precisi li segnali e li denunci.
O, parafrasando Martin Luther King: “Bisogna aver paura non delle cattive azioni dei malvagi, ma del silenzio degli onesti”.
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