I conti non tornano (come sempre) per gli statali

A parte il blocco contrattuale, già bloccato dal 2009, e il blocco degli aumenti salariali per i 2,8 milioni di dipendenti dello Stato, tuttavia nel 2014 dovrebbe partire invece la contrattazione sulla parte normativa con il conseguente scatto, magra consolazione, della “indennità di vacanza contrattuale”, che consentirebbe di trovare nella busta paga una parte del tasso di inflazione programmata pari al 30% dopo tre mesi e il 50% dopo sei mesi. E siccome il troppa stroppia il Governo ha pensato bene di porre un tetto a questa indennità, facendo risparmiare 440 milioni nel solo 2014.
In pratica la questione dell’indennità di vacanza contrattuale, ossia delle piccole somme aggiuntive riconosciute ai lavoratori nel periodo i cui i contratti di lavoro sono scaduti, sta diventando quasi la normalità. In particolare viene stabilito che per il periodo 2015-2017 l’indennità sarà la stessa in godimento nel 2013. Questo chiarimento può essere letto come una implicita conferma che i dipendenti pubblici resteranno senza contratto almeno fino al 2017 visto che il blocco opera fino a tutto il prossimo anno, ed in ogni caso i rinnovi non potranno che essere il frutto di una complessa trattativa.
E come se non bastasse il Governo avrebbe pure inteso andare ancora più a fondo, cancellando il divieto della reformatio in peius che garantisce al dipendente che viene trasferito verso una mansione con stipendio più basso di godere della retribuzione più favorevole. In altri termini, i prof inidonei, per esempio, se passassero agli Ata, verrebbero retribuiti con i parametri salariali previsti per il personale di segreteria, montando a “bambole” abilitazione, laurea, competenze e tutto il resto: una vergogna? Forse di più se andasse in porto questa manovra.
Ma la stretta, a quanto riferiscono le agenzie, riguarderebbe pure il trattamento di fine rapporto. Fino a quest’anno i dipendenti pubblici con Tfr superiore a 90 mila euro se la vedono corrispondere in due tranche fruibili ad appena, si fa per dire, sei mesi dopo il ritiro in quiescenza. Ora sembra che il limite sia stato spostato verso il basso e ad appena 50mila euro, mentre chi esce anticipatamente dovrà attendere 20 mesi per avere l’agognata buonuscita.
Se i sindacati del Pubblico impiego tuonano contro queste misure non pare però che da parte del Governo delle larghe intese ci sia larghezza di ascolto, mentre all’orizzonte sorgono le nubi nere dello sciopero e delle mobilitazioni con manifestazione nazionale a inizio novembre.

Pasquale Almirante

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