Proseguire gli studi anche dopo l’Università rende più facile la ricerca del posto di lavoro. Il dato è emerso al termine di uno studio condotto dall‘”Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori” sui laureati formati attraverso corsi cofinanziati dal Fondo sociale europeo nelle regioni Obiettivo 1. Secondo l’Isfol l’investimento nella formazione post-laurea incrementerebbe di circa il 20% le possibilità di trovare un impiego: il risultato è che l’83,3% dei dottori di ricerca e il 68,5% dei partecipanti a corsi post laurea ad un anno e mezzo dalla fine dell’esperienza formativa risulta occupato.
La ricerca, commissionato dai ministeri dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e da quello del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e confluita nella pubblicazione “Alta formazione e occupabilità”, ha fatto anche emergere come per i dottori di ricerca le chance di trovare lavoro si impennano del 15% rispetto a chi si ferma alla laurea. E l’incremento di possibilità di trovare un’impiego diventa di un ulteriori 25% per chi ha svolto un corso di formazione-specializzazione post-laurea.
“Questi risultati – spiegano dall’Isfol – acquistano un valore ancora più positivo se confrontati con i dati Istat relativi all’inserimento occupazionale dei laureati nel Mezzogiorno a tre anni dal conseguimento del titolo di studio: il 60,6%. Ciò dimostra che anche nel tempo la formazione di terzo livello si conferma una carta decisiva da spendere nel mercato del lavoro, un valore aggiunto per l’inserimento occupazionale di capitale umano d’eccellenza”.
Per ciò che riguarda la qualità del lavoro trovato, il quadro che l’istituto di formazione delinea è composto di luci e ombre. “Da una parte – dice l’Isfol – si rilevano scarse tutele contrattuali per quanti trovano un impiego: il 56% dei dottori di ricerca ha un contratto ‘precario’, per i partecipanti ai corsi post-laurea la percentuale si attesta addirittura sul 62,3%. Inoltre, in entrambi i casi le retribuzioni non sono elevate, in particolare per le donne che denunciano di avere un reddito basso nel 23,9% dei casi e per i dottori e nel 19,1% dei casi per i post-laurea”.
E’ però anche vero che per tutte e due le categorie i rapporti di lavoro sono caratterizzati da flessibilità , intesa sia in termini quantitativi (volontarietà del part-time, flessibilità oraria in ingresso e in uscita, flessibilità di scelta della fascia oraria, possibilità di gestire liberamente le ore di lavoro nell’arco della settimana) che qualitativi (autonomia nel lavoro, autonomia decisionale, uso delle Ict).
Altrettanto significativi sono i dati relativi ai canali di inserimento. Per i dottori il più importante è rappresentato sicuramente dall’università che accoglie il 55,5% di loro. Diversa la situazione per i partecipanti ai corsi post laurea che nel 47,5% dei casi vedono nell’azienda il loro principale sbocco lavorativo andando in questo modo ad inserirsi nel tessuto imprenditoriale del Mezzogiorno. Ancora una volta emerge una limitata capacità da parte delle imprese del Sud di sfruttare adeguatamente le potenzialità dei giovani formati che spesso non vengono impiegati nel settore della ricerca e dell’innovazione. Ciò si traduce anche in un fenomeno di mobilità geografica che si realizza attraverso lo spostamento da parte dei giovani formati dal Mezzogiorno verso il centro-nord. Molti di loro, difatti, soprattutto tra quanti hanno frequentato i corsi post-laurea, decidono di spostarsi nel Nord Italia dove riescono a trovare aziende più disponibili ad offrire un posto di lavoro (16,9%). Tra i dottori, invece, cresce la percentuale di quanti decidono di spostarsi all’estero (3,9%), dove risulta più facile l’inserimento presso università. Tuttavia la percentuale di coloro che rimangono a lavorare nelle Regioni del Sud si attesta su livelli alti (83,7% dei dottori e 82,2% dei post laurea). “Volendo dare una valutazione complessiva di quanto emerso dall’indagine – afferma Stefano Volpi responsabile dell’area “Valutazione dei programmi e delle politiche di sviluppo delle risorse umane” dell’Isfol – l’alta formazione offre una chance in più per l’inserimento nel mondo del lavoro, ma dovrebbero essere implementati maggiormente sistemi di raccordo tra università-centri di alta formazione e imprese al fine di valorizzare ulteriormente il capitale umano di eccellenza come fattore di sostegno alla competitività del tessuto produttivo”.