Nel 1973, la FLM imponeva nel contratto dei metalmeccanici le “150 ore”. Le lavoratrici e i lavoratori entravano da protagonisti nella scuola portando in modo dialettico la loro cultura e il loro punto di vista. Nello stesso anno veniva pubblicato in Italia “L’educazione come pratica della libertà” di Paulo Freire. Il pedagogista brasiliano affermava: “La mia visione dell’alfabetizzazione va oltre ba, be, bi, bo, bu. Perché implica una comprensione critica della realtà sociale, politica ed economica …”.
Sono passati cinquanta anni. Sono state recise quelle radici nei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti del Piemonte?
I CPIA, sono scuole frequentate da donne e uomini, italiani e migranti. Adulti che studiano per conseguire un titolo di studio e/o per imparare l’italiano.
Sono “autonomie scolastiche”: come tutte le scuole di Stato hanno l’obbligo di avere il Consiglio di Istituto, organo collegiale composto da studenti, insegnanti e personale non docente eletti per gestire, ingenti risorse economiche, calendari, utilizzo degli spazi, organizzazione, progetti.
Undici Cpia su dodici in Piemonte da nove anni, da quando sono stati istituiti, non hanno un consiglio di istituto. Nel resto dell’Italia la situazione è diversa, migliore.
Nell’ultima riunione della Rete Cpia Piemonte, il dirigente scolastico che la presiede, ha riferito di avere richiesto, in accordo con altri dirigenti, all’Ufficio scolastico regionale l’autorizzazione a non eleggere, anche per l’anno in corso, l’organo democratico previsto e di nominare, in sostituzione, un commissario straordinario.
Gli studenti e le studentesse, sarebbero ritenuti dal Presidente della Rete Cpia, non in grado di sostenere i compiti previsti dalla Legge. Tesi non convincente. La realtà è che molti studenti immigrati hanno una sufficiente padronanza della lingua italiana, spesso titoli di studio elevati, molti inoltre sono genitori con figli che vanno a scuola: nessun dirigente della scuola dell’obbligo o delle superiori “sopprimerebbe” il Consiglio di istituto con la motivazione che una parte degli elettori non parla bene la lingua italiana.
Gli studenti italiani che frequentano i Cpia possono eleggere deputati e senatori ed essere eletti in Parlamento: per quale motivo non dovrebbero partecipare alle elezioni di un istituto scolastico?
Ritenere le studentesse e gli studenti adulti non in grado di saper scegliere le persone in grado di rappresentarli sembra prefigurare pregiudizi inaccettabili.
In merito all’affermazione, del presidente, che i dirigenti preferirebbero avere un commissario straordinario anziché doversi relazionare con un organo collegiale democraticamente eletto c’è poco da dire: sicuramente la democrazia e la partecipazione richiedono più impegno rispetto ad avere a che fare con una sola persona, che spesso non conosce l’istruzione degli adulti. Ma sparisce la collegialità. E ne risente la trasparenza.
Dal punto di vista pedagogico privare le studentesse e gli studenti del diritto alla partecipazione è la negazione di un compito basilare dell’istruzione degli adulti: contribuire a formare cittadini consapevoli di diritti e doveri, in grado di comprendere la realtà sociale e non sudditi passivi ed ignari. I Cpia non dovrebbero “educare alla sudditanza”.
Il vulnus alla democrazia e alla partecipazione nei Cpia non riguarda solo gli studenti: la “soppressione” del Consiglio di istituto priva di un diritto/dovere anche gli insegnanti, i collaboratori scolastici e gli assistenti amministrativi.
La “vacanza” di democrazia partecipativa è inoltre causa di cattivo funzionamento che penalizza le persone più fragili socialmente, italiane e straniere.
Se nei consigli di istituto ci fossero, anche, mamme, richiedenti asilo, persone diversamente abili, persone sostenute economicamente dai servizi sociali, ci sarebbe molta più attenzione ai problemi che rendono difficile per molte e molti accedere ai percorsi di studio, più rispondenza tra progettazione e bisogni reali, più attenzione a utilizzare bene le risorse, più attenzione ai calendari e ai tempi di studio.
La presenza di studenti e studentesse nell’organo di gestione permetterebbe di tenere in considerazione il punto di vista di chi usufruisce del servizio.
Infine compito dei Cpia è costruire reti di servizio con il privato sociale, l’università, la Formazione Professionale. Il consiglio di istituto, per la sua pluralità di soggetti, è l’organo collegiale deputato a valutare le progettazioni e approvare quelle più aderenti alle necessità dell’autonomia scolastica in cui opera.
La scelta democratica, partecipata e trasparente dei progetti, di centinaia di migliaia di euro, è ciò che garantisce la centralità della scuola di Stato. In assenza di consigli di istituto aumenta in modo esponenziale il rischio di subalternità della scuola di Stato, di fronte all’intraprendenza progettuale del terzo settore e delle fondazioni bancarie.
Al Presidente della Rete Cpia Piemonte è stato chiesto di rendere pubblico il contenuto della lettera inviata all’USR in modo che chi studia o lavora nei Cpia possa conoscere i motivi che hanno impedito loro di esercitare un diritto
Al Direttore dell’Ufficio scolastico regionale del Piemonte è stato chiesto un impegno per impedire che la stessa situazione si ripresenti immutata nel prossimo anno scolastico, di incoraggiare le dirigenze scolastiche che si stanno attrezzando per eleggere il consiglio di istituto e che propongono, approfittando dell’evento, educazione alla cittadinanza attiva.
Ennio Avanzi
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