Cresce la quota di dipendenti pubblici: sembra una buona notizia, ma andando a fondo non c’è molto da sorridere, perché l’incremento si deve essenzialmente all’aumento esponenziale dei contratti a termine. Inoltre, per via del turn over ridotto spesso all’osso, si riducono i contratti a tempo indeterminato. La rilevazione è stata prodotta dall’Istat, il 28 dicembre, nel censimento sulle istituzioni pubbliche.
Ebbene, dice l’Istituto nazionale di statistica, “tra il 2011 e il 2020 i dipendenti pubblici, escluse le Forze di polizia e armate e gli occupati all’estero, aumentano del 2,5% (oltre quota 2,9 milioni) in conseguenza del notevole incremento dei contratti a tempo determinato (+58,9%, +145 mila unità), a fronte di un calo del 2,8% a tempo indeterminato (-73 mila).
Nel complesso, considerando anche il personale in divisa e occupato all’estero, a fine 2020 i dipendenti della Pubblica amministrazione sono arrivati a 3,4 milioni (3.396.289), in aumento del 2,2% rispetto al 2017 quando erano poco più di 3,3 milioni (3.321.605).
Il fenomeno, sostiene l’Istat, è una conseguenza delle “politiche di contenimento della spesa pubblica e di limitazione del turnover dei dipendenti, che hanno caratterizzato quasi per intero l’ultimo decennio, hanno determinato modifiche al livello e alla composizione dell’occupazione”.
L’Istat si sofferma, poi, su un dato molto interessante: il fenomeno del precariato è abbastanza recente. Se si guarda al periodo 2011-2017, si scopre che il numero dei dipendenti pubblici è infatti nel complesso rimasto quasi invariato (-0,1%): c’è stata una lieve flessione del personale a tempo indeterminato (-0,8%) e di un aumento di quello a tempo determinato (+7,3%).
Mentre è nei quattro anni successivi, 2017-2020, che c’è stato il vero cambio di marcia (in peggio!): se nel complesso l’occupazione dipendente è leggermente aumentata, segnando un +2,6%, con il personale a tempo indeterminato in ulteriore calo (-2,1%), quella a tempo determinato ha fatto registrare uno spiccato aumento (+48%).
L’Istat spiega che l’incremento nel periodo 2017/20 è dovuto principalmente alle assunzioni (a termine) effettuate nel comparto scuola e negli enti del Sistema sanitario nazionale (Ssn) per far fronte alla pandemia da Covid-19.
Nella scuola, quindi, essendo stato cancellato nell’anno scolastico in corso l’organico Covid, la tendenza dovrebbe essersi arrestata.
La lentezza che contraddistingue l’espletamente concorsi e l’alto numero di immissioni in ruolo sfumate negli ultimi tre anni per mancanza di candidati nelle varie graduatorie (dei concorsi, GaE e Gps), non hanno però permesso di attuare una vera inversione di tendenza: oltre 200 mila supplenze annuali, stipulate anche quest’anno, sono un “fardello” non indifferente che continua a far detenere alla Scuola il primato di precarizzazione nella Pa.
Il bonus da 1.500 euro per genitori che vogliono iscrivere i figli alle scuole paritarie,…
Circa 2 milioni di ragazzi italiani di età compresa tra i 10 e i 20…
Ascolta subito la nuova puntata della rubrica “Educazione in Evoluzione” tenuta da Matteo Borri dal titolo: “Ma (a che) serve…
Vendicarsi con i docenti, considerati troppo severi, fotografando la targa della loro auto per poi…
Da qualche anno, soprattutto dopo la pandemia da Covid, assistiamo ad una crescita di casi…
La Corte Costituzionale ha bocciato ben sette punti nevralgici della legge sull’autonomia differenziata tra cui…