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I diplomati tecnici e professionali lavorano subito e più dei laureati

I diplomati presso un istituto tecnico o n professionale trovano lavoro più facilmente, anche se non si tratta di lavoro a lungo termine.

E’ quanto emerso dall’Education at a Glade 2017 dell’Ocse, che è stato presentato alla Luiss di Roma analizzando i sistemi educativi di 34 Paesi nel mondo utilizzando dati del 2012, 2014 e, per alcuni indicatori, del 2016, non includendo, dunque, gli anni della Buona Scuola.

Come riporta Italia Oggi, la maggior parte dei giovani italiani sono iscritti a un percorso di studi superiore a indirizzo tecnico-professionale, il 42%, contro il 33% che ha scelto un liceo: il 16% in più della media Ocse. Un comparto che garantisce buoni tassi di occupazione per i giovani: ben il 68% dei 25-34enni, sensibilmente superiore sia ai quello dei liceali (49%) sia a quello dei laureati (64%). Una performance in cui i diplomati tecnico-professionali spiccano soprattutto nei primi anni dopo il diploma, sottolinea Francesco Avvisati dell’Ocse.

“Il comparto tecnico-professionale viene preferito solo dai giovani, come suggerisce l’età media del conseguimento del diploma professionale inferiore a quella Ocse”, osserva ancora Avvisati. “Invece, negli altri Paesi è scelto anche dagli adulti per riqualificarsi professionalmente”. In Italia la partecipazione degli adulti a percorsi di formazione formale o informale resta tra le più basse dell’area Ocse: il 19%% contro il 39% della media internazionale, il 46% della Germania, il 45% degli Usa o il 34% della Spagna.

Ma sul lungo periodo le cose non stanno esattamente così: “Il cambiamento dell’economia, crea nuove sfide per questo settore dell’istruzione, sottolinea Avvisati ricordando che gli scenari del mercato del lavoro dei prossimi anni prevedono un aumento di posti di lavoro per chi possiede livelli di competenza alti i laureati, o elementari. Al contrario per i lavoratori con competenze intermedie, i diplomati, le prospettive occupazionali si ridurranno. Se i diplomati tecnico-professionali non saranno preparati e «non avranno opportunità per l’aggiornamento ulteriore delle loro competenze in azienda o nell’ambito delle politiche attive del mercato del lavoro, richiederanno di subire i cambiamenti futuri dell’economia e di perdere il vantaggio occupazionale iniziale”.

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La Buona Scuola potrebbe dare il suo contributo, grazie all’alternanza scuola-lavoro, una misura che secondo Avvisati “va nella giusta direzione, ma il suo successo dipenderà dal sostegno dato a scuole e imprese per assicurare qualità. Mentre l’articolazione Its, lauree professionalizzanti e politiche attive del lavoro “per assicurare opportunità effettive di formazione continua deve essere al centro di una strategia coordinata”.

Ma il problema è ancora più complesso, in quanto, lo stesso orientamento dei neolaureati sarebbe slegato dalle richieste ed esigenze dell’economia: infatti, il 39% dei laureati di primo livello proviene da facoltà umanistiche o artistiche, rispetto al 25% laureatosi in una disciplina tecnico-scientifica o al 14% in economia, che garantirebbero maggiore occupazione. Con conseguenze negative per il tasso di occupazione dei laureati.

L’Ocse a tal proposito raccomanda di aumentare la possibilità per il riorientamento in corso, prosegue Italia Oggi, prevedendo passerelle; accompagnare scelte di orientamento più consapevoli dei bisogni emergenti; rinforzare i legami tra insegnamento universitario ed economia sul territorio così come nelle politiche di sviluppo. “Il Piano Industria 4.0, afferma Avvisati, dovrebbe avere misure per le politiche dell’istruzione, come i laboratori, per favorire il riorientamento del sistema di competenze nazionale.

Senza contare l’investimento in istruzione del nostro paese, che come abbiamo già visto, consegna all’Italia la maglia nera: solo il 7,1% del Pil tra la primaria e l’università, rispetto al 9,9% dell’Unione Europea e all’11,3% Ocse. Un calo del 9% per il nostro Paese rispetto al 2010, secondo il rapporto «indice di un cambiamento nelle priorità delle autorità pubbliche piuttosto che di una contrazione generale di tutte le spese governative”.

 

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Fabrizio De Angelis

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