I distacchi sindacali della scuola costano troppo?
Il sindacato costa e come. Quello scolastico poi, è meglio non parlarne. E’ quanto emerge da un calcolo effettuato da Giuliano Cazzola, senior advisor del Centro Studi Marco Biagi e Adapt. Un’inchiesta inedita pubblicata sul numero di Economy del primo agosto.
E’ cosa nota infatti che l’attivismo sindacale si svolge durante il normale orario di lavoro, i permessi sono anche retribuiti. Al dipendente spettano dieci ore l’anno per la partecipazione ad assemblee sindacali. Per le riunioni degli organi dirigenti (senza limiti né di numero né di incarico) sono previste otto ore al mese. Ma non è tutto: se il dipendente dovesse far carriera nel sindacato può usufruire dell’ “aspettativa” o del “distacco”. La prima è più diffusa nel mondo privato e “per il dipendente in aspettativa – spiega Cazzola – il sindacato non versa la contribuzione sociale, che è considerata solo figurativa”. Nel distacco invece il dipendente statale continua ad essere pagato dall’Amministrazione (con tanto di premi e straordinari), ma di fatto lavora per il sindacato.
In Italia i distaccati sono 3.007 e alle tasche dello stato costano ben 116milioni di euro all’anno. I permessi retribuiti arrivano fino a 420mila ore per un prezzo di 9,2milioni.
La scuola è un capitolo a parte. Sui tremila distacchi un terzo è solo occupato dal settore della Pubblica Istruzione, che ne vanta con precisione 1.099 (quasi mille nelle associazioni di categoria e cento nelle confederazioni). Il costo si aggira intorno ai 43milioni di euro (per la precisione 42.878.849 netti). Senza calcolare poi le ore di permesso (giustamente retribuite) che ammontano a 127mila.
Parlando di “Pubblica Istruzione” è esclusa l’Università che rappresenta una voce diversa, con 45 distacchi per un totale di circa un milione e 647mila euro.
Alla fine Giuliano Cazzola, nel suo pezzo, si lascia andare anche ad una considerazione del tutto personale, o quasi: “conquistare un ‘posto a tavola’ (alla stipula dei contratti) significa avere accesso al Tesoretto della nullafecenza (per dirla con Pietro Ichino) a favore di centinaia di attivisti”. Andare a dargli torto è davvero difficile.