Oggi assistiamo sempre più spesso a discussioni, dibattiti e convegni tra addetti ai lavori, politici, docenti e giornalisti sui progetti di riforma (e controriforma) da adottare nel mondo della scuola. mentre allarmanti dati statistici rilasciati da organismi terzi fotografano una scuola italiana ai minimi storici (al venticinquesimo posto tra i circa 60 principali paesi industrializzati del mondo nel 2007). Nell’ambito di tale processo riformatore, vi sono poi delle stagioni in cui oggetto precipuo è una particolare tipologia di ordine e grado, ovvero l’intero comparto legato all’istruzione ovvero, sempre di più, con il fenomeno caro ai media della fuga dei cervelli all’estero, quello relativo alla ricerca. Al riguardo se, come affermava Thomas Jefferson nella Dichiarazione d’indipendenza americana “Ogni generazione ha bisogno di una nuova rivoluzione” e se secondo Altiero Spinelli, uno dei padri fondatori dell’europeismo, “La scuola è la più grande rivoluzione nella storia dell’uomo e l’ingresso principale verso il trionfo della ragione sull’istinto, del sapere sull’ignoranza e della cultura della pace sulla barbarie della guerra”, va ricordato che come disse Winston Churchill – grande statista, ma anche uomo di cultura (vinse il Nobel per la letteratura nel 1953) – a Yalta, “L’Europa è la culla della civiltà leader del mondo sul piano del sapere e la madre di ogni rivoluzione culturale”.
Ecco perché assume sempre più importanza nell’ambito della grande Unione europea dei 27 (con l’ingresso – il 1 gennaio 2007 – di Romania e Bulgaria), la riforma dell’istruzione e la promozione di una cultura europea unitaria.
Peraltro, cercando di penetrare nel nocciolo del fenomeno nazionale di riforma della scuola, notiamo come sempre più spesso non vi siano sottese, alla ratio legis ispiratrice, vere necessità di razionalizzazione del sistema educativo italiano, ma piuttosto le cause prime siano riconducibili a ragioni politiche, accessorie, esterne e contingenti.
Tra di esse in primis pressanti ragioni di bilancio (cost saving o deficit spending) legate ad istanze di organismi sovranazionali, come l’Unione europea, al fine del rispetto dei parametri economici europei o del raggiungimento di obiettivi strutturali (come quelli del 2010 della cd. Strategia di Lisbona per l’innovazione e la diffusione della conoscenza informatica e linguistica). Poi naturalmente, nel quadro del cd. spoil-system, vi è l’orientamento culturale che diviene di moda, in funzione delle maggioranze politiche che alternativamente si succedono al governo centrale. Infatti – complice il sistema maggioritario premiante sempre più trendy non soltanto in Italia, ma in voga nel Vecchio continente – vi è oggi in Europa una corsa conformistica all’omologazione con l’idem sentire ideologico e programmatico delle coalizioni partitiche di governo, come istituzionalmente avviene sin dalla origini negli Stati Uniti.
Inoltre, in questi ultimi anni, s’è aggiunto un obbiettivo di rilevanza primaria: il perseguimento entro i Paesi membri dell’Unione europea di una compiuta armonizzazione, nel rispetto delle reciproche differenze, dei sistemi educativi e scolastici endocomunitari. Appare perciò di grande attualità analizzare – qui e nel corso dei prossimi articoli monografici (uno per ciascun paese europeo) d’approfondimento sul tema – lo stato dell’arte dei sistemi attraverso cui si perviene entro i paesi UE al diploma o certificato di istruzione secondaria – passaporto per entrare nel mondo del lavoro o accedere all’università), non tralasciando allo stesso tempo quei paesi che, pur non facendo parte formalmente dell’Unione, (come la Svizzera, il Liechtenstein, la Norvegia o l’Islanda – rientrano di diritto, per innovazione metodologica in campo didattico, tradizione culturale o peso economico e geopolitico, nella nostra indagine comparata.
Un dato preliminare che salta subito agli occhi e risulta comune a quasi tutti i paesi dell’Unione è l’impressionante incremento del numero di ragazze diplomate rispetto alla popolazione scolastica maschile, le cui ragioni non possono semplicemente risalire al sensibile maggior tasso di natalità femminile. In particolare, negli ultimi anni a partire dal 2002, tranne che in Germania, Irlanda e Svezia – ove sono state adottate delle peculiari politiche per il recupero dell’abbandono scolastico ed un attento e costante ricorso al sostegno sistematico personale, anche fruendo, come in Svezia, di ausili psicologici. a favore di ragazzi “distratti”, disagiati o a rischio – in tutti i paesi UE il numero delle diplomate alla scuola di istruzione secondaria superiore generale è più elevato di quello dei ragazzi. Con un rapporto medio di 139/100 diplomate/diplomati. Addirittura in Italia, Bulgaria, Cechia o Repubblica ceca, Estonia, Islanda, Lituania, Polonia e Romania il rapporto sale a circa 150/100 diplomate/diplomati. In particolare dalla cd. Eurydice curata da Eurostat per la Commissione europea sull’istruzione in Europa per il 2005/06, si evince come in tutti i paesi UE sia rilasciato un certificato d’istruzione secondaria superiore generale – legato more solito all’idoneità alla prova finale ed al lavoro degli ultimi anni – quale indefettibile ticket d’accesso all’istruzione superiore. In Spagna e Svezia, il certificato viene rilasciato sulla base della valutazione continua dell’ultimo anno o degli ultimi anni del secondario generale. Nella maggior parte dei paesi (tranne che a Cipro, in Finlandia, Lituania, Grecia, Portogallo e nel prossimo membro bulgaro), la prova finale è sia scritta che orale ed è gestita esternamente alla scuola. In Grecia e Portogallo in cui, come detto, vi sono solo prove scritte, esse però sono 2, una interna ed una esterna. In Portogallo, peraltro, l’esame finale esterno è programmato solo per le materie studiate fino alla fine del ciclo d’istruzione superiore.
In particolare in Austria, il capo della commissione d’esame sceglie domande solo tra quelle elaborate dal corpo insegnante interno, mentre in Belgio, Cechia o Repubblica ceca, Islanda e Slovacchia lo scritto è scelto dai docenti stessi del corpo insegnante interno alla scuola. Una peculiarità del sistema olandese è che il voto finale corrisponde alla media dei risultati ottenuti in due prove: una interna o S (schoolexamen), orale e/o scritta, elaborata dall’insegnante, e uno scritto o CE (centraal examen), scelto da un organo esterno ed esaminato dagli insegnanti in base a norme definite da tale organo. A seconda del paese, il voto finale è attribuito da una commissione o da persone esterne alla scuola, oppure dagli insegnanti della scuola che decidono il voto attribuito e il rilascio del certificato. In Finlandia, per ottenere il certificato basato sulla prova esterna scritta (matriculation examination), la valutazione viene fatta innanzitutto dagli insegnanti e poi da un organo esterno ad hoc, il Matriculation Examination Board. Nel minuscolo, ma – come vedremo – importante, Granducato di Lussemburgo e nella maggior parte degli Stati dell’Est, gli esaminatori esterni attribuiscono un voto finale tenendo conto anche dei risultati ottenuti alla prova esterna e del lavoro svolto durante l’anno. Inoltre, mentre in Estonia, le prove esterne sono corrette solo da esaminatori esterni, in Danimarca, Germania e Norvegia (paese quest’ultimo non UE), il certificato deve in rilievo indicare partitamente i voti conseguiti nella prova finale solo nelle discipline enucleate, mentre a parte si indicano i risultati continuativi del lavoro svolto nelle altre materie durante l’anno o gli ultimi anni. Infine nelle baltiche Latvjia Lettonia e Lituania, mentre i membri interni correggono le prove della maggior parte delle materie sulla base di criteri stabiliti da un programma esterno, i membri esterni definiscono il voto solo per le discipline residuali scelte e valutate negli esami organizzati a livello centrale.
Debbo comunque avvertire che non ci occuperemo esclusivamente dell’argomento centrale di questo breve excursus sinottico, ossia dello status delle prove d’esame o dei certificati di compiuti studi secondari nell’UE. Infatti allo stesso tempo analizzeremo, nel corso delle prossime tappe, Paese per paese – avvalendoci di diversificate fonti di cognizione (in particolare dell’Unione europea) – i vari sistemi educativi generali oggi adottati in seno all’Unione Europea, e non solo, ossia in: Austria, Belgio, Bulgaria, Cechia o Repubblica Ceca, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Granducato di Lussemburgo, Grecia, Irlanda, Islanda, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Malta, Norvegia, Olanda alias Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera o Confederazione elvetica ed Ungheria.
Non mi resta che ricordare al lettore, all’incipit di questo lungo ciclo di articoli inerenti lo status comparativo dei sistemi d’istruzione europei, che potrà approfondire la tematica, scrivendoci per ogni delucidazione e, al contempo, fruendo delle molteplici risorse che, quali qualificate fonti di cognizione saranno, work in progress, da noi segnalate.