Pensare di inserire qualcosa dal punto di vista contrattuale per i docenti che accettano di rimanere nelle scuole collocate in aree svantaggiate, proprio per ridurre i divari territoriali, perchè “c’è spesso un forte turn over in questi istituti che non è positivo per l’apprendimento” degli allievi. La proposta arriva da Carmela Palumbo, Capo Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione del ministero dell’Istruzione, presente al convegno nel quale è stato presentato il Piano di intervento per la riduzione dei divari territoriali nell’istruzione.
“Vanno studiati dei meccanismi per affrontare al meglio questo problema”, ha sottolineato Palumbo, riferendosi non tanto all’alta percentuale di docenti precari del Sud che si spostano nel settentrione e che poi, subito dopo l’anno di prova, tentano di avvicinarsi a casa partecipando alla mobilità interprovinciale (un fenomeno che annualmente supera anche le 200 mila domande complessive).
La proposta dell’alto dirigente del Miur, che potrebbe trovare spazio nel nuovo contratto collettivo nazionale di categoria, invece, si riferisce alla tendenza dei docenti ad abbandonare le scuole più difficili, perché collocate in aree svantaggiate, quindi frequentate da un alto numero di studenti meno propensi allo studio e meno seguiti dalle famiglie.
Oppure a lasciare istituti frequentati da un’alta percentuale di allievi “difficili”, stranieri, Dsa, Bes o con vari problemi di apprendimento più o meno certificati
O, ancora, anche alla riluttanza degli insegnanti a rimanere in istituti scolastici situati in aree difficile da raggiungere, come l’alta montagna o le piccole isole.
In tutti questi casi, il “movimento” annuale dei docenti risulta decisamente maggiorato rispetto alle scuole collocate ad esempio nelle zone centrali delle aree urbane.
Analizzando la frequenza scolastica degli studenti, la dottoressa Carmela Palumbo ha anche evidenziato come dai dati nazionali emerga che il numero alto di assenze degli allievi incida sull’apprendimento.
A questo proposito, tuttavia, vale la pena ricordare che anche nella scuola secondaria superiore – come già avveniva alle medie – da quasi un decennio è stata introdotta la norma che impone agli studenti l’obbligo di frequentare almeno il 75% di ore di lezione annue.
E la frequenza scolastica va, inoltre, ad incidere sul voto di condotta, essendo uno degli elementi principali che concorrono alla sua composizione.
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