Ha veramente senso pensare che la scuola abbia bisogno di professionisti esterni per definire il destino della scuola stessa?
Non è strano che i docenti siano una categoria che necessita di figure professionali altre per mettere bocca sui criteri di valutazione, sulla didattica, sulle metodologie e sulle finalità della scuola stessa?
Eppure nel panorama italiano si affaccia proprio la necessità di prestare ascolto a voci altre, a chi la scuola non l’ha mai vissuta e sperimentata, come se il docente fosse una figura professionale non autonoma, incapace di gestire il proprio ambito lavorativo con competenza e professionalità.
Si parla molto ad esempio di far filtrare nella scuola nuovi consiglieri dell’educazione, (figure doppione all’insegnante di sostegno, timide figure che vorrebbero mettere mano sui processi psichici e sulle dinamiche relazionali), tutti professionisti che, avendo nel proprio bagaglio formativo esami di pedagogia, didattica e metodologia, vorrebbero essere “formatori” dei docenti, suggerendo loro come lavorare con la classe da un punto di vista educativo.
Non parlo ovviamente dello psicologo scolastico che, essendo una figura professionale diversa da quella docente, ha come specifica esclusiva quella di poter lavorare sul piano emozionale, sulle disfunzioni relazionali, sulle problematiche relative al comportamento e all’adattamento, grazie anche agli strumenti specifici messi a punto attraverso una ricerca seria e condivisa in ambito clinico e psicosociale.
Mi riferisco invece a quelle figure limitrofe che, prive di un reale statuto professionale, vorrebbero insegnare ai docenti come fare il proprio mestiere. Queste figure non bene definite hanno unicamente nel proprio bagaglio formativo l’aver sostenuto una serie di esami trasversali nei vari ambiti (sociologia, pedagogia, antropologia, ecc.), prive però di un reale ambito specifico di applicazione e di esperienza professionale.
In crisi di identità professionale, questi laureati vorrebbero utilizzare la scuola come terreno sul quale mettersi alla prova, alternandosi ora come figure di supporto agli studenti certificati (in assenza del docente di sostegno) ma privi di abilitazione al sostegno, ora come figure professionali in grado di mettere mano sui processi emozionali, sulle dinamiche affettive, relazionali, sulle difficoltà di adattamento scolastico senza però essere psicologi.
Ecco, io non credo che la scuola abbia bisogno di ulteriori figure che ruotano intorno alla scuola; tutto questo non fa altro che alimentare la sensazione che la scuola sia un grande ammortizzatore sociale, un centro sociale che accoglie al proprio interno figure che, altrimenti, non avrebbero altre alternative lavorative.
Si arriva all’assurdo di leggere nei documenti di alcune associazioni di categoria che ai docenti spetta solo l’insegnamento mentre l’educazione spetta ad altre figure specificatamente formate, ignorando che con il termine “educazione” si intende un particolare tipo di relazione che è a fondamento della professionalità docente e che da essa non può essere in nessun caso scorporata.
La scuola ha bisogno invece di rimettere al centro la professionalità docente. Ricordiamo che per diventare docenti non è sufficiente l’aver sostenuto esami relativi alla propria materia ma occorre aver sostenuto ulteriori esami di metodologia, psicologia dell’educazione, didattica, antropologia ecc., oltre ovviamente i laboratori ed i tirocini professionalizzanti.
I docenti hanno bisogno di recuperare credibilità superando il pregiudizio che siano necessari i consigli di specialisti altri per svolgere bene il proprio lavoro.
Andrea Docente
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