Pubblichiamo volentieri una lettera inviata al nostro direttore da parte dell’avvocato, anche insegnante, Simona Manca, esperto in Diritto scolastico: il tema è il doppio editoriale del professore Ernesto Galli della Loggia, pubblicato alcune settimane fa sul Corriere della Sera, che tratta da vicino i problemi di inclusione degli alunni disabili nelle scuole italiane e della mancanza di preparazione dei docenti di sostegno, “bollati” come meri “assistenti”.
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Caro Direttore,
il professore Ernesto Galli della Loggia da tempo mostra molto interesse per i problemi della scuola italiana e il suo contributo risulta spesso di grande aiuto a rilevare e ad affrontare i problemi del mondo dell’istruzione, soprattutto quando è supportato da uno studio e da una conoscenza reali del settore. Peccato che sull’inclusione sia proprio fuori strada. La toppa che ha cercato di mettere, con il suo intervento alcune domenica fa, all’uscita già infelice del 13 gennaio, è stata persino peggiore del buco.
Innanzitutto, è necessaria un po’ di chiarezza nelle sigle e nella nomenclatura per evitare di confondere strumenti e obiettivi, ruoli e funzioni. Gli allievi con Bes (Bisogni educativi speciali) hanno bisogni diversi e la legislazione italiana, tra le più attente ed avanzate del mondo, ha predisposto misure adattabili a ciascuna esigenza: i ragazzi con disabilità certificata hanno diritto al Pei (Piano educativo individualizzato) e sono seguiti da un docente di sostegno per un numero di ore che dipende dal grado di disabilità; i ragazzi non disabili ma con Dsa (Disturbi specifici dell’apprendimento, come la dislessia, la discalculia, ecc) o altri bisogni speciali, non sono seguiti da un docente di sostegno ma hanno un Pdp (Piano didattico personalizzato), cucito sulle loro necessità, che tutti i docenti curriculari devono seguire.
Ora, tornando all’intervento del professor Galli della Loggia.
1- Non è vero che nella maggioranza dei casi l’insegnante di sostegno non è preparato e ha “vaghe nozioni d’ordine generalissimo apprese in un corso annuale”, e che considera il proprio lavoro solo una scorciatoia per entrare nella scuola e alla prima occasione scappare verso “il ruolo normale di insegnamento” creando un “continuo aumento di insegnanti curriculari indipendentemente da ogni constatato bisogno di essi e da ogni concorso”. L’insegnamento di sostegno agli alunni disabili è una classe di concorso, per insegnare nella quale bisogna conseguire l’abilitazione. I corsi per l’abilitazione sono organizzati dalle Università italiane. Sono a numero chiuso e sono molto impegnativi. Prevedono uno studio accurato di molte materie (dalla legislazione alla pedagogia, dalla neuropsichiatria infantile alla didattica speciale, ecc.), laboratori pratici e tirocinio nelle scuole.
Ne vengono fuori docenti competenti e appassionati che, per essere assunti in ruolo, devono superare un concorso ordinario (solo per alcuni anni, in via eccezionale, è previsto il reclutamento dalla prima fascia delle GPS, graduatorie che comportano in ogni caso una selezione per titoli). Se qualcuno di loro, poi, nel corso della vita professionale, vuole fare esperienza anche nell’insegnamento di un’altra materia nella quale pure è abilitato, può chiederlo ed ottenerlo solo se esistono posti vacanti. Questo tipo di “passaggio” è consentito a tutti i docenti di ruolo, non solo ai docenti di sostegno. Il passaggio da una classe di concorso all’altra all’interno dello stesso ruolo, o da un ruolo all’altro (es. da scuola primaria a secondaria) è un movimento consentito annualmente su una percentuale molto limitata di posti vacanti, attualmente il 25% , perché il resto dei posti è destinata alle nomine in ruolo.
2- Non è vero che questo esercito di insegnanti specializzati fa “assistenza” ai disabili. Per quella ci sono altre figure specializzate, a cui pure la scuola ricorre nei casi più gravi. Così come non è vero che nelle ore in cui il docente di sostegno non è presente in classe, vi è “semplice permanenza in aula dell’alunno disabile, non accompagnata da alcun intervento significativo che vada al di là della suddetta permanenza”. All’inclusione dei ragazzi con Bes lavora un team, detto Glo (Gruppo locale operativo per l’inclusione) costituito da tutti i docenti della classe, compresi quelli di sostegno, il Dirigente scolastico, le famiglie ed eventuali esperti esterni. Il Glo elabora le strategie più adatte affinché il ragazzo formi le sue competenze (curriculari e non) in base alle sue capacità, ma è tutta la classe che partecipa al percorso di inclusione ed è coinvolta nel confronto con le diversità di ciascuno (per esempio con il Peer tutoring). Strategie, queste, che vengono applicate dal docente di sostegno insieme con i docenti degli altri insegnamenti ogni giorno in classe. Al piano di inclusione partecipano tutti.
3- Se aumentano i casi di bullismo o aggressività anche nei confronti dei ragazzi con disabilità non è colpa del modello italiano di inclusione, ma semmai del fatto che questo modello, in qualche caso, non viene ben applicato perché qualche anello della catena inevitabilmente non funziona. Vi sono scuole che operano in ambienti degradati, famiglie spesso assenti o refrattarie, benpensanti, intellettuali, altoborghesi che ancora pensano che un ragazzo straniero inserito in classe sia “diverso” o da evitare. Insomma, la vita è una realtà complessa, molto diversa dalla perfezione e dall’eleganza dei salotti e delle biblioteche degli intellettuali, ma nella scuola siamo abituati ad affrontare le emergenze.
L’inclusione nelle scuole italiane è una realtà, non è retorica. Una realtà meravigliosa, emozionante, che ogni santo giorno porta migliaia di Dirigenti scolastici, alunni, docenti di sostegno, docenti curriculari e collaboratori scolastici sulle montagne russe. Si passa da momenti drammatici a momenti di fortissima emozione ed è in questo modo che tutta la comunità scolastica cresce e i ragazzi si preparano ad affrontare la vita. Altro che retorica. È proprio vita.
Simona Manca, docente e avvocato esperto in diritto scolastico
LA REPLICA DEL NOSTRO DIRETTORE ALESSANDRO GIULIANI
Egregio avvocato, apprezziamo e condividiamo il suo intervento sul quale ci eravamo già espressi con due miei interventi, da cui estrapoliamo alcuni passaggi.
Sul primo contributo del professore Ernesto Galli della Loggia, pubblicato sul Corriere della Sera, avevamo scritto che pensare di lasciare nell’aula accanto o di sopra gli allievi disabili, gli stranieri e i Dsa gravi sarebbe inoltre un insulto all’Unione europea che ci chiede di ridurre drasticamente il numero di alunni che non arrivano al diploma di maturità. Ma soprattutto si centrerebbe la peggiore sconfitta per tutti. Ad iniziare dagli stessi allievi. E anche per gli studenti con maggiori potenzialità, che avrebbero qualche competenza in più (ma è questa ma missione della scuola?), senza però più garantire i benefici di crescita enormi che provengano dall’interagire con quello che in sociologia viene definito “l’altro da sé.
Come sarebbe un pericoloso arretramento per i tanti che ogni giorno (docenti e dirigenti scolastici in testa) ancora lottano perché la scuola sia luogo di condivisione e di crescita comune, senza lasciare indietro ed escludere nessuno. Alla don Milani, per capirci, perchè è questa l forza della scuola”.
In conclusione, perchè le classi eterogenee rappresentano la risposta migliore a quelli che pensano che l’inclusione (pur con mille difficoltà da superare) debba essere derubricata come mero “mito” da superare.
Infine, sul secondo articolo del professore Galli della Loggia ci eravamo così espressi: “Sarebbe opportuno astenersi dall’addentrarsi in contenuti tecnici che riguardano didattica ed istruzione, ancora di più dal dare giudizi. Invece, nell’era dei social media tutti sembrano autorizzati a farlo, spesso con poca umiltà, dimostrando sempre di più che il buon Umberto Eco aveva ragione da vendere nel disprezzare la democrazia dell’on line. Ma se a cadere nella trappola del facile giudizio, non supportato da adeguate conoscenze, è un intellettuale dalla portata del professore Ernesto Galli della Loggia, allora la questione assume risvolti quasi inattesi”.
Ancora di più perché dopo un’ottima premessa e avere ammesso di avere sbagliato (“La mia intenzione non era affatto quella di auspicare il ritorno alle classi differenziali di un tempo”), è tornato ad argomentare il tutto con un numero di inesattezze ed errori praticamente da impallidire.
Sarebbe inutile aggiungere altro.
Alessandro Giuliani
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