Categorie: Personale

I docenti impegnati negli accertamenti per il recupero dei debiti formativi devono essere pagati

Dopo l’abolizione degli esami di riparazione con la Legge 352 del 1995 è stata introdotta una nuova modalità operativa per dare la possibilità agli studenti che arrivano a giugno con poche insufficienze (ovviamente non tante o tali da essere bocciati) di colmare il cosiddetto debito formativo.

Si tratta della vigente procedura di “sospensione del giudizio nello scrutinio di giugno”, funzionale a consentire il recupero delle carenze dello studente, differendo l’eventuale giudizio di ammissione ad uno scrutinio successivo che si svolge dopo che i docenti delle discipline interessate hanno accertato l’avvenuto recupero.

Questa nuova procedura è cosa ben diversa dai precedenti esami di riparazione.

L’impianto procedurale è stato sin da subito molto impegnativo per le scuole, essendo divenute le attività di sostegno e recupero “parte ordinaria e permanente del P.O.F.” ai sensi art. 1 del Decreto Ministeriale n. 80 del 3 ottobre 2007, con una intensificazione generalizzata dell’impegno lavorativo; fintanto che si è reso necessario incrementare anche le risorse disponibili per il salario integrativo, in aggiunta agli stanziamenti già previsti all’uopo (noti come fondi I.D.E.I.) per finanziare i corsi di recupero resi obbligatori dall’art. 2 comma 6 dell’Ordinanza Ministeriale n. 92 del 5 novembre 2007 e le numerose problematiche organizzative annesse e connesse.

Si rende quindi necessario un passaggio contrattuale: “I criteri per l’utilizzazione del personale docente e non docente da impiegare nelle attività di recupero e le modalità di attribuzione dei relativi compensi sono definiti in sede di contrattazione” come recita l’art 10 del suddetto D.M. 80/2007. 

Una particolare attenzione viene riposta alle verifiche intermedie e finali di accertamento che “vanno inserite nel nuovo contesto dell’attività di recupero” (artt. 5 e 8 – O.M. 92/2007). Che vengono pertanto incluse a pieno titolo nelle attività di recupero ed infatti – se svolte fuori dall’orario delle lezioni – sono giustamente computate tra le ore di recupero, quando si tratta di verifiche intermedie.

Discorso diverso per le verifiche finali che, per una sorta di assimilazione impropria ai vecchi esami di riparazione, in molte scuole non vengono retribuite.

Un adempimento foriero di aggravio lavorativo non comporta automaticamente l’assenza di un corrispettivo, sol perché essendo obbligatorio può essere imposto con ordine di servizio dal dirigente scolastico.

Inoltre, esiste una specifica disposizione contrattuale, l’art. 88 del vigente CCNL, che nel prevedere prioritariamente l’attribuzione di una indennità per gli impegni didattici, esplicita al comma 2 lettera L, proprio i particolari impegni connessi alla valutazione degli alunni. 

Nei contratti integrativi d’istituto di alcune scuole particolarmente avvedute, è stata giustamente prevista un’indennità per i docenti impegnati negli accertamenti dei recuperi. Una regola che oltre a tutelare e gratificare (si fa per dire) il lavoratore, tutela anche la serietà della scuola.

In molte altre scuole però, questo diritto viene misconosciuto dai dirigenti scolastici che accampano motivazioni futili e generiche pur di eludere il pagamento di questo compenso spettante.

Alcuni oppongono che gli esami rientrano nella funzione docente (ma questi accertamenti sono cosa ben diversa dagli esami); altri si trincerano dietro la vaga espressione per cui i docenti sono comunque “in servizio” (una interpretazione che, se fosse valida, implicherebbe che gli stessi corsi di recupero dovrebbero allora essere svolti gratuitamente dai docenti, che rimangono in servizio fino al 20 luglio).

La stretta finanziaria sulla scuola, mentre da un lato sta cagionando ai docenti perdite economiche cospicue per il blocco degli scatti stipendiali ed il mancato rinnovo del CCNL, dall’altro sta spingendo i dirigenti scolastici a premere sui diritti e le tasche dei docenti, resi arrendevoli dai timori di emorragie d’utenza con conseguente perdita della cattedra e dalla dilagante prepotenza dei presidi sceriffo. Resistere alla “buona scuola” significa anche opporsi a soprusi di questo tipo.

 

Carmine Nicoletti

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