“Siamo totalmente privi di strumenti. Se un ragazzo decide di aggredirci, di insultarci o di ribellarsi, alla fine siamo da soli”. Lo dice un docente a La Stampa.
Se sono già molti i casi di studenti, regolarmente bocciati agli esami di stato o alla frequenza della classe successiva e poi riacciuffati dal Tar, sostenuti dai genitori, una parte degli studenti sa di avere sempre più potere e ne approfitta.
Racconta un prof al quotidiano di Torino: «Una ragazza mi ha lanciato una sedia e un ombrello addosso perché mi ero rifiutato di mandarla in bagno prima che fosse tornata la sua amica. Volevo evitare che perdessero tempo insieme fuori della classe». Di fronte a un’aggressione ci si aspetterebbe un provvedimento esemplare da parte della scuola. Invece, nulla. «Indifferenza totale da parte del dirigente. Sono talmente tanti gli episodi come questi che si finisce per lasciar correre per evitare problemi più gravi. Per noi professori è imbarazzante, significa perdere completamente il controllo della classe. A quel punto l’assicurazione servirebbe davvero».
Genitori e alunni possono opporsi a tutto e a volte trovano giudici che li assecondano. In Lombardia all’esame di maturità un ragazzo non ha consegnato il cellulare come è previsto dalle regole di tutte le scuole italiane. Durante la prova il telefono ha iniziato a squillare, il ragazzo è stato escluso dall’esame e bocciato. La famiglia ha fatto ricorso e il Tar della Lombardia ha accolto la richiesta ammettendo il ragazzo a sostenere le prove perché non era confermato che avesse ricevuto suggerimenti.
E anche se li avesse avuti, forse non sarebbe stato sufficiente per la bocciatura, come emerge da una sentenza del 2012 nei confronti di una ragazza trovata a consultare il cellulare durante l’esame.
Ed ecco un’altra amara considerazione di una docente consegnata a La Stampa:«Il nostro è diventato un lavoro molto difficile. Soprattutto quando dovremmo prendere provvedimenti disciplinari, sappiamo che rischiamo ritorsioni, dalle gomme tagliate alla carrozzeria dell’auto graffiata. Avremmo avuto bisogno di una formazione specifica per affrontare casi come questi, invece ho imparato da sola: la strategia migliore è mantenere la calma, non esasperare le situazioni quando i ragazzi non obbediscono per evitare di essere aggredita anche dai genitori con conseguenze più gravi. I ragazzi hanno sempre ragione, siamo noi a non capire».
A questo punto però, sempre su La Stampa, viene riportata una considerazione di Gaetano Salvemini, apparsa in un editoriale dell’Unità il 17 aprile 1914, nella quale, smessi i panni dell’erudito pacato e liberale, con ironia e un sarcasmo vagamente anticonformistico esprime la sua analisi sociale: “… Il cattivo funzionamento di tutte le scuole non si deve attribuire tanto all’essere o non essere pubbliche o private, quanto all’indifferenza che tutte le famiglie, di qualunque partito o di nessun partito, hanno per la scuola. Le famiglie mandano i figli a scuola , come li mandano a messa, come li lasciano andare al postribolo se si tratta di maschi, o a nozze se si tratta di donne. Dove c’è scuola pubblica, mandano il figlio alla scuola pubblica; dove c’è la sola scuola privata, lo mandano alla scuola privata; dove c’è una scuola pubblica e una privata, lo mandano alla scuola privata dopo che è stato bocciato alla scuola pubblica, oppure preferiscono la scuola privata perché fornita di un convitto che consenta loro di sbarazzarsi del tutto del caro rampollo… L’Italia è un paese di pelandroni: clericali, anticlericali, conservatori, rivoluzionari, pubblici, privati, sono tutti eguali – questa è la verità; e questa è la spiegazione del cattivo funzionamento di tutte le scuole, e non solo delle scuole!”.
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