Il pubblico impiego è composto in prevalenza da lavoratori con oltre 50 anni di età: più della metà ha infatti compiuto i dieci lustri e se a questi aggiungiamo gli over 45 arriviamo al 70% dei dipendenti pubblici più vicini alla pensione che alla giovinezza. Una condizione sulla quale ha pesato non poco il lungo precariato (che nella scuola tocca livelli da record), negli ultimi 10-12 anni la riforma Monti-Fornero che ha portato la pensione sempre più vicino ai 70 anni e lontano dai 60.
Fin qui nulla di nuovo. Quello che forse non ti aspetti, però, è che il comparto della PA istruzione e ricerca italiana (il cui dato generale sull’anagrafe dei docenti, il 55% degli insegnanti attivi ha oltre 50 anni, è in linea con quello generale della PA) risulti quello col maggior numero di “nuove leve”: anche se l’età media del corpo docente italiano risulti, lo dicono i dati ufficiali, la più alta in Europa (quasi il 20% ha oltre 60 anni), quando si raffronta con quella dei dipendenti pubblici si scopre che poi non è così elevata.
Ad avere “ringiovanito” l’età anagrafica di chi si siede in cattedra sarebbero stati i concorsi pubblici che si sono susseguiti dal 2015, ad oggi: a causa del turn over massiccio di alcune annualità (si pensi al 2016, quando furono assunti quasi 100 mila nuovi insegnanti), i docenti in Italia fanno registrare un’anzianità media di servizio di circa 12 anni, poco meno della metà rispetto a quella dei dipendenti dei ministeri, delle agenzie fiscali e degli enti pubblici non economici come Inps o Inail, i cui dipendenti sono entrati in servizio mediamente più di 23 anni fa.
Certamente, va anche considerato, però, che gli anni di precariato (con periodi di lavoro alternati a quelli di disoccupazione) che mediamente deve svolgere un supplente prima di firmare l’immissione in ruolo, risultano oggettivamente maggiori di quelli di un qualsiasi dipendente pubblico anche non di ruolo. E anche questo dato va considerato.
In media, se si considerano tutti i dipendenti del pubblico impiego, l’età anagrafica si attesta sui 50 anni e risultano in servizio, sempre in media, da 16,6 anni.
I dati sono stati affidabili, perché prodotti dal Centro Studi Enti Locali (Csel), per conto di Adnkronos, e basati su quelli raccolti dal ministero dell’Economia e delle Finanze nell’ambito della rilevazione del Conto annuale del personale della pubblica amministrazione.
Dall’ampio studio risulta anche che le donne superano gli uomini in numero in quasi tutti i comparti, eccezion fatta per comparto autonomo o fuori comparto e per il personale in regime di diritto pubblico: complessivamente, nel 2021, erano al servizio delle amministrazioni pubbliche 1 milione e 914.340 donne e un milione e 324.404 uomini. E le donne superano gli uomini anche in età media: 50,2 anni contro i 49,3 dei colleghi di sesso maschile.
Suddividendo in tre blocchi i dipendenti pubblici (under 30, 30-50 anni e over 50) emerge che oltre la metà degli stessi, ben 1 milione e 794.715 persone, pari al 55% del totale, appartiene a quest’ultima fascia. Un milione e 288.740 dipendenti rientrano nel blocco che va da 30 a 50 anni (40% del totale) mentre la percentuale degli under 30 è ferma al 5% del totale e conta soltanto 155.289 persone. Quasi 4mila i dipendenti che hanno più di 68 anni.
Il quinquennio più ‘popoloso’ nel mondo pubblico è che quello che va da 55 a 59 anni: quasi 670mila i dipendenti che hanno un’età compresa in questo range, praticamente uno su cinque (21%). Poco distante il quinquennio che va da 50 a 54 anni, che conta 597.467 esponenti, pari al 18%. E la scuola è il comparto pubblico con maggiori presenze in queste fasce d’età (tra i 50 e i 59 anni).
Scendendo ancora, troviamo la fascia d’età 45-49 (15%), poi la 60-64 (13%), la 40-44 (11%), la 35-39 (8%), la 30-34 (6%) e infine la 25-29 (4%).
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