Immaginiamo, solo per breve tratto di tempo, che i balbettanti contenuti che si riferiscono all’accordo del contratto di mobilità, firmato dalle OO.SS. e dalla ministra Miur, in questo gran finale 2016, fossero stati “concertati” ante 107: nel 2013, per esempio. Non è difficile ipotizzare che disorientamento e agitazione avrebbero innervato il già raggrinzito “corpo docente”, la cui resilienza accusa crepe sempre più severe.
Giacché il “salto” che separa la titolarità su scuola dalla titolarità su ambito è rilevante, ed è disposto in modo da apparecchiare il “saldo” tra le esigenze delle scuole e le attitudini dei docenti (a invarianza di spesa, naturalmente), filtrato dall’apostolo della leadership educativa e organizzativa, dall’organo monocratico di rappresentanza legale dell’istituto, dal capo d’istituto, dal preside… insomma, dal Ds della ineffabile “chiamata diretta” e del bonus/malus ai “meritevoli”, subdolo dispositivo disciplinare, ipocritamente e infantilmente rivestito da sedicente “premialità”.
Dopo la 107, invece, sembra quasi che l’accordo venga celebrato come una gloriosa conquista e una vittoria delle politiche lungimiranti delle confederazioni sindacali firmatarie di CCNL, a esclusione della Gilda.
Questo scarto documenta l’esemplare involuzione che il lacerato tessuto della scuola statale della Repubblica, studenti-personale ata-docenti, ha subito negli ultimi 5 lustri.
Con “merito” indiscusso la 107 si staglia quale sfavillante matrice (ex post) di una straziante filiera di “riforme epocali”…matrigna/matrice, in quanto dotata della più grottesca (e provinciale) delle ideologie di stampo ordo-liberista: quella italica, quella che privatizza i profitti e socializza le perdite…
Il monoblocco centosettano: 202 commi irreggimentati a grappolo, espressione, non della volontà del Parlamento “libero” e legiferante, ma di una maggioranza snaturata da un premio ipertrofico (alla minoranza, però), certificato illegittimo e incostituzionale dalla Consulta (ben un anno e mezzo prima il varo della 107), nonché blindata da un voto di fiducia militarizzato e larvatamente ricattatorio.
In sintesi: qualche centinaio di parlamentari, nominati dalla segreteria di un partito, è stato obbligato ad innescare una “riforma” deformante su un “organo costituzionale” come la scuola, valore/bene pubblico appartenente all’intera comunità nazionale.
L’augurio, per il 2017, è che al “decreto renziano” sia riservato un solo destino: quello della non emendabilità, e quindi della abrogazione da parte di un rinnovato legislatore.
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